Saramago: una Zattera alla Deriva

Creato il 30 gennaio 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il gennaio 30, 2012 | LETTERATURA | Autore: Vittoria Averni

L’incontro con “La zattera di pietra” di José Saramago (Feltrinelli, prima edizione “ampliata” Universale Economica ottobre 2010, traduzione di Rita Desti) è avvenuto per puro caso. In un momento di sfrenata gelosia (complice sicuramente anche il caldo asfissiante) cercai informazioni su Internet in merito a una certa persona e, tra le varie cose in cui m’imbattei digitando il suo nome, c’era una pagina su aNobii (social network dedicato ai libri, alla lettura e ai lettori). Tra i tanti libri letti da questa fantomatica persona (purtroppo non posso rivelarvi nome e cognome!) c’era proprio lui: “La zattera di pietra”. Il titolo mi colpii immediatamente così come l’immagine di copertina dell’edizione Feltrinelli: un’illustrazione di Emiliano Ponzi di un uomo con un cannocchiale seduto sull’estremità di una nave di roccia che solca il mare. L’insieme di immagine e parole perfettamente aderenti al mio stato d’animo, mi convinsero definitivamente a comprarlo. E in effetti, leggendolo, le mie aspettative non furono tradite. La terra si spacca a Cerbère, nei Pirenei Orientali, trasformando la penisola iberica in un’isola, o meglio in una zattera di pietra, che comincia a vagare nell’Oceano Atlantico in direzione delle Azzorre, seminando il panico e la fuga tra gli abitanti. Il senso di deriva, ma nello stesso tempo di apertura di nuovi orizzonti pervade il libro sin dalle prime pagine e i protagonisti si ritrovano a dover fare i conti con degli avvenimenti inspiegabili, al limite con la magia.

E così come la penisola, anzi isola, iberica si lasciano trasportare dalla corrente, dagli eventi incomprensibili che li portano a nuovi incontri senza opporre resistenza, lo stesso fa Saramago con la sua prosa: è fluida, scorre in maniera leggera ma non frivola, miscelando le sue opinioni con le parole dei protagonisti, creando periodi lunghi ma mai noiosi o ingarbugliati, che scivolano lentamente nella lettura. E tra le righe della storia dei protagonisti si intrecciano le considerazioni del poeta sul senso di deriva dei nostri tempi, sull’impotenza dei potenti di fronte a questi eventi inspiegabili. L’irreale, l’assurdo, governano il mondo e si possono solo fare ipotesi, ma non ottenere risposte certe. E tra i più colpiti dall’ironia dell’autore vi sono proprio i governanti, raccontati tramite i loro discorsi, prima roboanti, infine rassegnati, sintesi memorabile il grido “Portoghesi, la salvezza è nella ritirata”. Ma oltre l’ironia, la deriva, il panico, ciò che rende “La zattera di pietra” assolutamente poetico è la bellezza, la semplice ma sincera bellezza della natura che ci lascia inermi di fronte a lei. Ci rapisce e malinconicamente le cediamo senza opporci ed infine ci spiazza con la sua eternità di fronte alla nostra fugacità: «ma qui, tra queste gole, guardando queste acque, il tempo ha un altro senso, come un istante di eternità nell’atroce brevità della durata umana. La nostra».



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