In Sardegna si discute molto di zona franca. Sarebbe sicuramente un grande risultato una fiscalità di vantaggio capace di attrarre imprese nella nostra isola. Quante occasioni di lavoro in più, per i giovani e i meno giovani. Sarebbe molto accattivante avere anche una zona franca al consumo: quanti turisti saremmo in grado di attrarre se la benzina e gli altri beni acquistati nell’isola fossero esenti da accise e Iva? Che vita faremmo in una terra di pace come la Sardegna se questa fosse anche esentasse! La cosa paradossale è che in sessant’anni di autonomia speciale le zone franche, pur essendo previste dallo Statuto sardo del 48, non sono mai state realizzate. Tranne un timido tentativo fatto nel 98 dalla Giunta Palomba e mai attuato in oltre 15 anni. Viceversa l’unica zona franca alla quale è stata data generosissima attuazione in Sardegna è quella concessa a piene mani alla politica e alle lobby di potere, che in tutti questi anni hanno avuto carta bianca, facendo man bassa delle enormi quantità di denaro a disposizione della Sardegna.
Al di là degli aspetti giudiziari che ogni interessato dovrà risolversi con i magistrati, gli scandali che hanno investito il Consiglio regionale hanno impietosamente messo al centro della scena politica una improcrastinabile questione morale, che deve essere risolta prima di qualsiasi altro problema. In una situazione di recessione conclamata, con 400mila persone che vivono al di sotto della soglia di povertà e una disoccupazione, specie giovanile, molto più alta rispetto al resto d’Italia, non è più tollerabile un sistema che permetta ad una classe dirigente super pagata – che tranne alcune rare eccezioni si è dimostrata incapace di risolvere i problemi della comunità – di perpetuare con la prepotenza i propri privilegi. Non è più ammissibile un sistema clientelare e corrotto alimentato purtroppo da tante persone che vendono la propria dignità al potente di turno, anche soltanto per un posto di lavoro.
Ma qualcosa sta cambiando. La rabbia che accompagna le vicende giudiziarie di questi giorni non è una rabbia da popolo dei forconi. La Sardegna è una terra di pace e i sardi hanno dimostrato storicamente di non essere violenti. E’ una terra di pace perchè i sardi alla fine hanno sempre accettato di buon grado di sottomettersi a tutti i conquistatori. L’unica volta che si sono veramente arrabbiati, con i Piemontesi, è stata talmente eccezionale da essere ricordata come Sa die de Sa Sardegna. Sì, terra di pace. Ma non esageriamo. Quella che si respira oggi è una profonda indignazione contro un andazzo ingiusto che deve essere stroncato. Perché, come ha ricordato proprio in questi giorni Papa Francesco, la corruzione e il malaffare sono come la droga. Si inizia da una bustarella, da un piccolo favore e poi si entra nel giro. Si vuole sempre di più e si dà sempre di più. Perché in quel giro se non dai nulla non prendi neppure nulla. Sicuramente si accumulano ricchezze, ma sono ricchezze che mai si potranno godere nella vita. E a che prezzo? A cosa serve regalare a tuo figlio libri preziosi intarsiati d’oro, orologi costosissimi e penne rare da collezione se poi finisci in galera? Gli stai dando solo “pane sporco”, dice il Papa. «I genitori – ha spiegato Francesco – dovrebbero accorgersi che la dignità viene dal lavoro onesto, dal lavoro di ogni giorno e non da queste strade più facili che alla fine però ti tolgono tutto».Il laboratorio Sardegna terra di pace
Qualcosa sta cambiando in Sardegna. La discesa in campo di don Ettore Cannavera – chiesta a gran voce da tanti esponenti politici e della società civile (il primo, lo ha rivelato il sacerdote, è stato il sottosegretario del Pd Paolo Fadda ma un tifoso sfegatato è stato anche l’ex presidente della Regione Federico Palomba) – nonostante i veti del Vaticano precludano una vera e propria candidatura alle prossime elezioni regionali – è un segnale di grande speranza. Don Cannavera, con la sua vita e la sua esperienza quotidiana, dimostra come un uomo pubblico, non necessariamente solo un prete, debba sapersi spendere soprattutto per i più poveri, per gli ultimi, per gli emarginati. Che la politica non deve essere usata per accumulare ricchezza e privilegi. Per regalare penne costose a consiglieri regionali che non sanno che farsene. Ma deve essere un servizio per la comunità. Per questo qualche mese fa il sacerdote ha firmato, per primo, il manifesto “Lessico per una nuova politica per la Sardegna”, annunciando l’apertura di un laboratorio che proverà a rifondare dalle basi della politica isolana. Giovedì circa duecento personalità, di provenienza molto variegata, hanno discusso alla comunità La Collina fondata da don Ettore, di terra, pace, istruzione, lavoro, solidarietà dando vita a un’assemblea che potrebbe essere foriera di molte novità per il mondo progressista isolano. La Sardegna non ha bisogno di convegni per giustificare l’utilizzo, anzi lo spreco, di soldi pubblici. Ha bisogno di ripartire dai fondamentali: l’identità, che non vuol dire separazione dall’Italia, la pace (perchè la Sardegna è una grande terra di pace), la solidarietà con i meno fortunati, il lavoro onesto e dignitoso che premia i meritevoli e non gli accozzati, la scuola e la formazione per i nostri figli. E soprattutto la lotta senza quartiere alla corruzione e al malaffare, un cancro che sta uccidendo il futuro dei nostri ragazzi migliori. Una riunione, niente di più. Ma il movimento che fa capo a Don Cannavera, che si chiama “Sardegna terra di pace, istruzione, lavoro e solidarietà”, potrebbe sfociare in una lista civica per le prossime regionali. Per ora è stato fissato il prossimo appuntamento, sempre alla Collina, il 6 dicembre. E l’indirizzo mail del movimento “Sardegna terra di pace, istruzione, lavoro e solidarietà” ([email protected]) per le adesioni e le idee, sempre bene accette. Un indirizzo dedicato a chi ha ancora a cuore una Sardegna che sia terra di pace e lotta al malaffare.