Magazine Cultura
tratto dal libro di Rossella Barletta "Architettura Contadina" dedicato alla Puglia
(rivisto e adattato per la Sardegna da Pierluigi Montalbano)
Sono almeno due gli elementi distintivi del paesaggio sardo: uno è vegetale e riguarda la vite e l'ulivo, così presente da infoltire autentiche foreste che si perdono a vista d'occhio; l'altro è morfologico e riguarda la roccia calcarea e basaltica che affiora così tanto da non lasciare spazio al terreno coltivabile, conferendo all'ambiente un senso di diffusa aridità,ostile a qualsiasi forma di vita. Laddove la sedimentazione calcarea si presenta sotto forma di grigia pietraia, diventa il principale segno anagrafico, in grado di incidere sul carattere degli abitanti e, in passato, sulle loro sorti economiche e sociali. Il predominio della roccia, generando un suolo povero di risorse, carente di idrografia superficiale, e un clima particolarmente caldo in estate, è stato un ostacolo.
Con queste e altre condizioni sfavorevoli, è facile immaginare come la necessità di conquistare lo spazio agricolo per impiantare attività economiche produttive sia stato il pensiero fisso del contadino sardo. Egli ha dovuto innescare un rapporto di forza con l'ambiente fisico che, a sua volta, ha influenzato il tipo di popolamento, le sue vicende storiche nonché il rapporto di classe (causa di arretratezza socioeconomica), la dinamica demografica e, nel tempo, il declino della vita rurale e l'esodo migratorio dalla campagna improduttiva. Soltanto pensando al faticoso lavoro manuale di ogni contadino, il cui risultato ha consentito di bonificare un terreno sassoso, livellare depressioni e formare terrazzamenti coltivabili, ci si può rendere conto del divario economico e culturale che separa l'azienda agricola moderna dalla famiglia contadina del passato, abituata a produrre e consumare in famiglia quel poco che un terreno, per sua natura aspro ed tenace, riusciva a dare. L’occhio attento coglierà un altro significativo aspetto: in Sardegna l'uomo ha dato dignità storica a un materiale freddo e muto, su cui ha riportato graficamente le impressioni del clima culturale e politico vissuto, per trasmettere e prolungare nel tempo il ricordo delle varie fasi della sua presenza. Investite di questa singolare funzione, le pietre identificano le vicende delle genti che hanno abitato l'attuale Sardegna fin dalla preistoria. Attraverso esse è possibile seguire un percorso archeologico, megalitico, medievale e moderno e sostare nelle principali aree da cui sono state dissepolte pietre dall’inestimabile valore documentario come i dolmen e i menhir.
Si rimane rapiti al cospetto delle misteriose mura innalzate dalle primordiali popolazioni; ripercorrere i sopravvissuti spezzoni di carrarecce; curiosare nei villaggi rupestri; scrutare le chiese campestri romaniche e le austere torri costiere corrose dalla salsedine; incantarsi di fronte alle maestose torri nuragiche; ammirare la pazienza degli artigiani che incastonarono con millimetrica precisione le pietre dei pozzi sacri e delle tombe di giganti e, come ciliegina sulla torta, ammirare le suggestive decorazioni scolpite e colorate delle millenarie domus de janas. Osservando i segni quale avvicendamento delle civiltà, si conosceranno i modi di intendere e di rappresentare la fede, la difesa, il piacere del bello, il senso della funzionalità e della praticità, il rispetto sacrale che si è rivolto sia alle risorse della natura (prima fra tutte l'acqua), sia agli animali e alle rispettive esigenze di raccoglierla e di allevarli. Accanto ai monumenti, bisogna annoverare quelle tipiche espressioni della civiltà contadina costruite con pietre informi, non lavorate, come si trovano in natura, specchio in cui si riflette nello stile di vita della realtà socio-economica delle generazioni del passato nonché attestazione di geniale capacità e di talento del contadino nel riutilizzare qualcosa di apparentemente inutile e scomodo come le pietre di scarto. Cercare di pulire un campo sgombrandolo completamente dalle scaglie di pietra, sarebbe come pretendere di esaurire la sabbia lungo un lido del mare, ma il contadino sardo riuscì a sfruttarlo al meglio, talvolta guadagnando preziosi fazzoletti di terra da coltivare, altre volte ottenendo materia prima da utilizzare per varie funzioni. Per un innato senso del riuso, ha raccolto le pietre divelte e le ha accumulate in un angolo per distribuirle ordinatamente e per comporre una geometria di muretti e terrazzamenti quale impedimento al terreno di franare oppure per costruire dimore rurali e, con impareggiabile tenacia, è riuscito a fare sgorgare l'acqua nascosta nei massi e convogliarla sui campi, rinvigorendo i frutti del suo faticoso lavoro.
La prima architettura delle pietre a secco è costituita essenzialmente dai muretti di campagna e dalle tipiche abitazioni, denominate pinnettas, ancora solide e spesso affiancate da forni, aie, pozzi e altre strutture che ci fanno immaginare l'autosufficienza della famiglia rurale. L'intento della ricognizione è di dimostrare come le pietre ritenute generalmente ingombranti e ostacolanti siano servite, invece, per costruire forme insediative connotative del paesaggio secolare sardo, attraverso le quali gli abili fabbricatori hanno risolto l'esigenza di avere un riparo stabile per sé e per gli animali e rivelando il loro forte attaccamento, l'amore sacrale verso la terra. Puntando un riflettore su questi esempi di architettura minore, spesso incivilmente danneggiati e oggetto di colpevole indifferenza pubblica, desideriamo evidenziare che anch’essi rappresentano punti cardini dell’identità sarda, al pari di altri segni di cui si parla con maggiore frequenza, impegno e partecipazione istituzionale, e che sono a portata di mano: basta andare nell'immediata campagna di qualsiasi centro urbano e guardarsi attorno. Preoccupiamoci di salvaguardare i muretti, di conservarli attraverso una costante manutenzione e di ripristinarli anziché sostituirli con mattoni prefabbricati. Il motivo è sentimentale e tecnico allo stesso tempo in quanto svolgono una funzione importantissima per l'habitat. Non soltanto la loro struttura consente alla terra di non franare a causa del dilavamento provocato dalla pioggia, e alla vegetazione di essere protetta e difesa dall'azione del vento, ma l'assenza di legante tra le pietre evita gli eccessivi ristagni d'acqua che costituirebbero un pericolo per lo sviluppo delle colture e per la tenuta del muro stesso. Gli interstizi tra una pietra all'altra, infatti, consentono di trattenere l'umidità accumulata nel terreno durante la stagione piovosa o originatasi dalla condensazione dell'atmosfera, e di tramutarla in riserva di acqua a cui attingono durante l'estate rispettivamente il terreno, gli arbusti spontanei e le specie animali che in essi dimorano. Basti pensare che nelle pareti, i filari di pietra sono disposti con le lastre inclinate verso l'interno per permettere lo scorrimento della brina nella pietraia interna di riempimento. Le radici delle piante tendono a essere rivolte verso le pareti proprio perché il terreno vicino a queste risulta rifornito di umidità. Pertanto, quando si abbattono i muretti, si annullano questi delicatissimi meccanismi, oltremodo necessari alla salvaguardia dell'ecosistema.
Nell'immagine: La muraglia di Monte Baranta III Millennio a.C.
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