Forse arriverà un giorno in cui gli storici dovranno rivedere un po’ di cose, forse perfino tornare su antiche definizioni ed aggiornare le grandi epoche con cui gli studiosi hanno suddiviso la storia della società umana. Leggevo stamattina alcuni dati secondo cui in Italia la metà della ricchezza totale del paese è detenuta dal 10% della popolazione complessiva. Questo significa che se a dieci persone sedute intorno a una tavola viene servito un pollo, una metà del pollo andrà di diritto a un solo commensale, mentre gli altri nove dovranno dividersi la restante metà. La concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi che detengono il potere, l’economia di lusso di questa classe e l’insicurezza sociale dilagante, sono temi che agli occhi dell’uomo contemporaneo sembrano strettamente connessi alla realtà del presente. In realtà questa era esattamente la situazione nella tarda antichità, ossia nel periodo storico che precedette immediatamente la seconda grande periodizzazione in cui viene tradizionalmente suddivisa la storia d’Europa: il medioevo, per l’appunto. Sotto l’aridità statistica di risultati affidati a inchieste di macroeconomia, si nasconde una verità che invece non ha precedenti nella storia dell’uomo. In un’epoca come quella che viviamo, caratterizzata da una spaventosa disuguaglianza e dove le distanze sociali sono siderali, la classe che detiene il potere ha introdotto un elemento che ha finito per caratterizzare tout court la contemporaneità. Si tratta di un sortilegio, una stregoneria sottile, che può essere definita come una falsa democratizzazione dei beni di lusso. In buona sostanza, attraverso l’uso dei mezzi di comunicazione di massa e in particolare della pubblicità, le grandi masse dei cosiddetti ceti medi hanno avuto l’illusione di poter vivere secondo i canoni di agiatezza delle classi sociali più elevate. L’illusione ha consentito di assumere i portamenti e i simboli dei ceti ricchi, senza tuttavia avere mai accesso ai veri pilastri della ricchezza, ma al contrario contraendo debiti sempre più alti e aumentando quell’effetto di disturbo che nelle scienze psicosociali viene definito “fattore di desiderabilità sociale”. L’Italia berlusconiana in questo senso è il paradigma della contemporaneità edonistica, un paese – come aveva già intuito Pasolini – consumistico, individualista al punto da neutralizzare e cancellare le sue piccole e molteplici identità collettive. Questo è il presente. E in futuro? Un tempo le classi meno agiate erano abituate a destreggiarsi nelle situazioni di indigenza, la povertà era una realtà scomoda ma alla quale, in qualche modo, gli uomini riuscivano a sopperire. Allora la domanda che si impone è radicale: oggi, assuefatti come siamo ai codici culturali e dominanti della ricchezza, saremo ancora capaci di essere poveri?
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