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Rischioso, correre con le forbici in mano. Rischioso quanto girare un film da un libro best seller di culto di Augusten Burroughs. Ci ha provato, Ryan Murphy, il genio dietro a serie altrettanto cult come Nip/Tuck e il supersuccessone dell’ultima annata Glee. Sembrava anche essere l’uomo giusto, vista la sua famigliarità con la tematica gay e con la rappresentazione di personaggi strambi e al limite del borderline. Anzi, in questo caso proprio schizzati forti. Epperò la pellicola non convince appieno. Non si entra dentro la storia. I momenti in cui il montaggio cerca di accelerare il ritmo (alla Magnolia, film che tanti provano senza successo ad imitare) non si trasformano in accelerazioni nelle emozioni e si ha la sensazione che la pellicola non vada in nessuna direzione. D’altra parte anche Tim Burton sembrava l’uomo perfetto per rendere la schizofrenia di Alice nel paese delle meraviglie, e invece ha fallito miseramente.Per fortuna non è così disastroso il risultato di Murphy, pure giustificabile, considerato come sia alla sua prima esperienza cinematografica e abbia ancora tanta pellicola da macinare. Presto ci sarà la possibilità di vedere se avrà fatto progressi, visto che è al timone del nuovo film con Julia Roberts e Javier Bardem “Mangia, Prega, Ama”. E poi va sottolineato che anche in tv il buon Murphy era partito in sordina, con il telefilm teen Popular, che offriva qualche spunto di interesse ma non era eccezionale, come al contrario saranno poi Nip/Tuck (una delle migliori serie dello scorso decennio) e Glee (una delle migliori serie del prossimo decennio).
Correndo con le forbici in mano è la storia (biografica, ma probabilmente anche un filetto romanzata) dell’adolescenza di Burroughs, cresciuto prima con la madre aspirante scrittrice fallita, e quindi nella casa del di lei strizzacervelli, uno di gran lunga più pazzo dei suoi pazienti: basti dire che crede che i suoi escrementi comunichino con Dio! Ambientato negli anni 70 (ma siamo lontani dalle bellezza della fotografia de Il giardino delle vergini suicide, Amabili resti o The Box), un classico racconto di formazione con tanto di prime esperienze sessuali e amicizie con gli altri membri della schizzata famiglia.Il cast è notevole, ma non si impegna al massimo. Annette Bening è troppo sopra le righe, Evan Rachel Wood rimane la numero 1 ma il suo personaggio è troppo abbozzato, Gwyneth Paltrow non m’è mai piaciuta ma le va dato il merito di accettare piccoli ruoli da antidiva (qui come nell’altra folle famiglia dei Tenenbaum), Joseph Fiennes è in versione irriconoscibile anni 70 con tanto di baffoni ma dà l’ennesima conferma di essere un non-attore, Alec Baldwin un paio di anni più tardi farà il bis negli 70s con un personaggio simile nell’altrettanto incompiuto Lymelife.Bella la colonna sonora, con la springsteeniana “Blinded by the light” in versione Manfred Mann e la sempre efficace “Year of the rat” di Al Stewart che spicca in una delle scene più azzeccate del film. Ma è solo un lampo, in un classico film che ha l’odore bruciante della grande occasione mancata.(voto 5/6)
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