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Satoshi Kon

Creato il 25 agosto 2010 da Julesdufresne

Muore, a quarantasette anni. Uno dei più grandi registi di animazione giapponese decide che è già ora di abbandonare la realtà e partire per il vuoto dello spazio profondo. I temi delle sue opere sono tutti qui, condensati in un video non ancora reclamato per violazione di copyright: nei primi dieci minuti di Millennium actress.

Satoshi Kon

Il tunnel che collega verità e finzione è ridotto da subito ad un tubo catodico: la partenza dello shuttle-razzo taglia rapida in un breve terremoto, lo spazio reale e lo spazio immaginario comunicano attraverso le nervose sollecitazioni dei polpastrelli sul telecomando, il cosmonauta pronuncia parole sibilline, e così dalle psicosi gravi di Perfect blue sembriamo già scesi ad un compromesso: fuori dalla mente dell’individuo, altrove.
Ma Kon non era tipo da scegliere esplicitamente di riflettere sul rapporto tra il cinema e il mondo senza avere un secondo fine, più dolce: parlarti dei sogni e della memoria. In fondo, di nuovo, di cinema. Non passano trenta secondi che il nastro si riavvolge, e siamo ancora del tutto ignari del fatto che stia riavvolgendo parte del film, dei film che il regista sta studiando per giungere preparato all’incontro con l’Attrice del millennio, dei film nel film.
La sigla di testa contiene le scene riavvolte, stavolta nel verso e velocità normali, e nessuno ancora ha capito: paiono anticipazioni – oppure rievocazioni, ricordi. Solo dopo sapremo che si trattava di passati recitati, e al tempo stesso capiremo che si trattava davvero di memorie: le rievocazioni di un nerd che, appassionato dei film di un’attrice, intraprende un viaggio per intervistarla. Viaggio che presto diventerà un viaggio per ricordare all’Attrice, forse a noi, che non si deve dimenticare. Rievocazioni di qualunque storia universale del cinema, obbligo morale e interesse profondo; ma oh, così leggeri.

In fondo, Satoshi era quel nerd, quel regista, quel cosmonauta. E allora stasera non è possibile non cadere nella tentazione più semplice, praticamente automatica, seguire le sue labbra che paiono rincorrere, con il cuore in gola, e balbettano, come se fosse la prima volta, allungando un braccio soggiungere:
“Non andare, ti prego. Io [ti] ho sempre…”



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