13 marzo 2016
Su Repubblica di oggi Saviano scrive del suo incontro con Garri Kasparov, campione di scacchi e tra i maggiori oppositori politici di Putin. Introduce il pezzo raccontandoci della sua passione per gli scacchi, passione che risale all'infanzia. Al secondo capoverso Saviano scrive: "Il gioco degli scacchi è un gioco violento, forse il più violento tra gli sport". È indiscutibilmente una definizione d'effetto, ma chiunque si sia interessato al gioco almeno un poco in vita sua sa che non è una frase di Saviano. Tuttavia Saviano non la riporta come tale, ma la fa sua aggiungendo un ulteriore giudizio: "[...] anche se io non riesco a considerarlo uno sport". Non sarà peccato mortale, va bene, ma mi chiedo cosa sarebbe costato a Saviano inserire la frase tra virgolette - tanto più ripensando alle precedenti accuse di plagio, ai peccatucci di copia e incolla che hanno distratto il pubblico dei lettori dall'effettiva portata delle sue opere - e rammentarci che quella definizione, in realtà, è proprio di Kasparov, ossia non di un anonimo estensore di aforismi, bensì dello stesso personaggio di cui Saviano si accinge a fare il ritratto. Alfonso Berardinelli su Avvenire ha scritto che Saviano copia da ingenuo, non da furbetto. L'ingenuità di Saviano in questo caso sta, oltretutto, nell'aver "citato" una definizione degli scacchi talmente famosa da risultare perfino banale. Io - per dire - avrei adoperato una frase di Bufalino (la stessa che Fabio Stassi mette in esergo al suo "La rivincita di Capablanca", uscito qualche anno fa per minimum fax) che diceva: "Gli scacchi non sono semplicemente un gioco. Sono guerra teatro e morte. Cioè, tutt'intera, la vita".
%d blogger cliccano Mi Piace per questo: