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Saving Mr Banks – Recensione

Creato il 07 marzo 2014 da Visionnaire @escrivere
Titolo: Saving Mr Banks Genere: biografico, commedia, drammatico (dice Wiki, che non sa decidersi) Regista: John Lee Hancock Sceneggiatura: Kelly Marcel Anno: 2013 Durata: 126′ Recensione: Los Angeles, 1964. Dopo vent’anni di tira e molla Pamela Travers, autrice dei libri per bambini incentrati su Mary Poppins (un’incredibile, fantastica, immensa Emma Thompson) accetta di incontrare Walt Disney (un Tom Hanks eccezionale, anche se discutibilmente relegato al ruolo di spalla) e di supervisionare la realizzazione del film. In ballo ci sono i diritti d’autore, che lei concederà solo se la pellicola non deluderà le sue aspettative.
Algida, inflessibile, pignola fino alla nausea, la Travers contesta qualsiasi cosa, dalla prima riga della sceneggiatura all’ultima nota delle canzoni. Non vuole assolutamente che Disney faccia dei suoi libri un filmetto sciocco e zuccheroso, non vuole che sia un musical, non vuole i cartoni animati e non vuole nemmeno Dick Van Dyke.
Eppure tutti abbiamo visto Mary Poppins. Sappiamo che ci sono chili di zucchero, canzoncine con le parole inventate, pinguini ballerini e… Van Dyke. Le due ore successive diventano quindi una caccia all’indizio, una sorta di giallo. Come ha fatto Disney a convincerla? Cosa s’è inventato per farle cambiare idea?Il film non segue una narrazione lineare, ma propone in continuazione flashback sull’infanzia della Travers, più numerosi e vividi man mano che i problemi del presente li richiamano alla sua memoria. I suoi ricordi di bambina ruotano prevalentemente attorno alla figura del padre (un Colin Farrell sempre intenso nei ruoli drammatici) e all’amore smisurato che lei gli riservava. I richiami tra questa figura e quelle descritte nei suoi libri si fanno via via più chiari, anche se ci vogliono tutte le due ore del film per incastrare i pezzi del puzzle e dare un senso alle fissazioni della scrittrice.Si ha un primo, piccolo tassello in una scena che mi ha lasciato a bocca aperta, forse perché scribacchio anch’io. Per venirle incontro, gli autori inseriscono un po’ di cinismo e cattiveria nelle pieghe della zuccherosissima sceneggiatura; la Travers inorridisce, prima di rendersi conto che il cinismo e la cattiveria li aveva messi lei tra le righe dei suoi libri, senza nemmeno accorgersene.
Un meccanismo mentale che la maggioranza degli spettatori forse non noterà, o riterrà inverosimile, ma che uno “scrittore” può riconoscere: affidare a una storia delle emozioni negative, cercando di liberarsene, in modo così automatico e spontaneo da essere quasi inconscio.
Non so se sia accaduto davvero (il film è pur sempre una trasposizione dei fatti romanzata e mielosa, in puro stile Disney), ma ho apprezzato particolarmente questo inserimento.
Ovviamente la doccia gelata non basta a far cambiare idea all’autrice, altrimenti il film durerebbe venti minuti. Il mistero continua.Nemmeno una visita a Disneyland cambia le cose, anche se all’apparenza sembra di aver trovato il tassello principale. La Travers entra in contatto con quel “qualcosa” che permea il mondo Disney: la pura, semplice, genuina gioia. La magia dei sogni. E non può ignorarla.
Perché ci sono due tipi di adulti, quelli che non ne vengono minimamente scalfiti e quelli che vengono presi, sollevati e trasportati altrove da un’ondata inarrestabile. Ai secondi non potrai mai dire che sono cose infantili, non potrai mai farli ragionare obiettivamente sul valore intrinseco dei prodotti disneyani, non li convinci nemmeno se gli dici che zio Walt i ragazzini li mangiava. I secondi sono quelli che quando vedono due orecchie da topo o una silhouette di Trilly vanno in tachicardia e preparano i fazzoletti, abbandonano la razionalità in un angolo e si trasformano in bimbi di otto anni col pigiamino e l’orsetto.
La Travers sembra far parte della seconda categoria, quindi ti dici: aaaaah, ecco come l’ha convinta. Le ha fatto capire che che la Mary Poppins sullo schermo avrebbe dato agli spettatori quella gioia tutta disneyana che nei libri non c’è, quella magia che va ben oltre il risalire le scale scivolando sul corrimano al contrario.
Però, no, non è nemmeno quello il trucco. Manca ancora molto al finale, c’è ancora tutto un monologo stucchevole di Hanks sulla figura parterna da sopportare, prima di poterne venire a capo.In realtà il trucco era già lì fin dall’inizio, gli altri pezzi del puzzle sono di contorno. L’indizio stava nel titolo. Stava in una frase che la Travers dice dopo pochissimi minuti, ma che non sembrava avere molto senso: Mary Poppins non scende dal cielo per salvare i bambini.
Il personaggio del signor Banks, che per due ore ha altalenato tra fantasma pressoché inutile ai fini della trama e cattivo a cui serve una lezione, viene trasformato dagli sceneggiatori in un simbolo e, come tale, cambia l’intero senso del film Mary Poppins.
Quella che è arrivata a noi non era soltanto la storiella canterina di una tata magica che schiocca le dita e rassetta le stanze, era la storia di una famiglia che riscopre cosa significa essere una famiglia. Era la storia di un padre e di una madre che ricordano perché hanno dei figli, che capiscono quale direzione dovrebbe prendere la loro vita grazie all’intervento della fata ombrelluta. Magia che veicola un messaggio.
Ovvero, per gli adulti della seconda categoria, quello che i film di Walt Disney fanno da quarant’anni, dall’uscita di Mary Poppins in poi: raccontano favole che incantano e che al contempo insegnano qualcosa.
La bimba di otto anni che è in me ha sgranato gli occhioni, ha stretto più forte il suo orsetto e ha detto “wow”.L’adulta che è in me, guidando verso casa, ha spiegato a quella bimba che il film, in realtà, era una caramellosa stupidaggine. Era la versione irreale e romantica di un semplice scambio commerciale: la Travers aveva finito i soldi, ha rotto un sacco le scatole ma poi ha buttato all’aria il suo complesso di Elettra per pagarsi l’affitto, permettendo così a un americano spocchioso di fare qualche altro miliardo di dollari in gadget e giostrine. Niente rivelazioni sulla natura degli scrittori, sulla magia delle fiabe, sul valore pedagogico dei cartoni animati o sui colpi di genio di Disney. Solo un filmettino scemo su come è stato fatto un altro filmettino scemo. Tutto qui, non c’è da farci tanto i fiocchetti.
La bimba le ha risposto con una linguaccia e, una volta a casa, ha iniziato a disegnare stelline sul fondo di questa recensione. Voto: 4Stellina-nuova11timbro1
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    Bee

    Chi sonoSono una più che trentenne emotiva e compulsiva. Mentalmente iperattiva, ma fisicamente vegetante. Fumo come il proverbiale turco. Adoro i cartoni animati, perdo troppo tempo in rete. Parlo da sola (anche in pubblico), faccio i crucipixel a penna. E ogni tanto scrivo, per lo più storie che non hanno un finale.


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