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Savoy truffle - un racconto

Creato il 15 novembre 2015 da Lafirmacangiante
SAVOY TRUFFLE - UN RACCONTOQualche tempo fa un amico mi portò a conoscenza dell'iniziativa lanciata da Eataly e dalla Scuola Holden che prendeva il nome di Mangia, scrivi, Eataly!

In poche parole l'iniziativa era la seguente: scrivere un racconto di massimo 10.000 battute con l'unico vincolo della presenza di uno dei negozi Eataly all'interno dello stesso.
L'idea mi piacque, scrissi di getto la prima stesura di un racconto che fui poi costretto a tagliuzzare per rientrare nelle battute richieste. Il 30 settembre scorso, dopo una proroga dovuta al successo dell'iniziativa, il concorso si è concluso. Il 15 ottobre sono usciti i risultati. Tre premiati e 40 racconti selezionati per una futura raccolta tematica in un libro che verrà distribuito nei negozi della catena.
Il mio racconto non è stato selezionato, però ho piacere di proporvi qui sotto la sua prima stesura. Mi farebbe piacere avere qualche vostro parere, sapere se vi è piaciuto o se avete riscontrato difetti, in tutta onestà. E soprattutto se avete capito di chi si parla :)
Io son disposto a rivelare retroscena e riferimenti alla realtà inseriti in tutto il racconto.
SAVOY TRUFFLE - UN RACCONTO
Ed eccolo qui, il titolo è Savoy Truffle.
1
Il professore aveva un aspetto bizzarro, la lunga barba bianca mostrava segni di incuria e sporcizia. La sua mente geniale non era di certo messa in buona luce dal completo logoro da boy scout che indossava, quel fazzoletto al collo a striscie oblique bianche e marroni non faceva altro che conferirgli in via definitiva sembianze ridicole. Dopo essere rimasto malamente nascosto dietro il fusto di un ippocastano per una decina di minuti a fissare la proprietà privata dall'altra parte di Claremont Drive, il professore si decise ad attraversare la strada. Il traffico a Esher non era molto intenso, la strana figura riuscì quindi a scavalcare inosservata il basso recinto in legno bianco che dava sul giardino antistante una grande costruzione del tutto simile a un bungalow. Il professore si approcciò con un pizzico di timore alla porta dell'edificio. Dopo alcuni istanti di furtiva attesa l'uomo prese coraggio e bussò alla porta. Dall'interno si udirono alcuni rumori, una voce femminile e una maschile che il professore ormai conosceva bene. La porta si aprì, un uomo con indosso un paio di boxer con disegnati degli strumenti musicali occupava la soglia. Fissò il professore per quelli che sembrarono minuti interminabili, le labbra strette e dritte sotto i baffi curati, l'espressione accigliata. Nel più completo silenzio l'uomo fece un passo indietro e richiuse la porta sbattendola in faccia al professore. Ancora voci dall'interno; il volume si alzò, la porta si riaprì. Era una bella ragazza, un visino pulito incorniciato da capelli biondi, la frangetta un poco lunga, begli occhi azzurri.
"Ciao Pattie."
"Professore. George non ha molta voglia di vederla."
"Non ne comprendo il motivo, l'ultima volta in fondo ci siamo trovati bene a lavorare insieme."
"Non era un lavoro, è stata... beh, non saprei neanche come definirla. E George è ancora scombussolato dall'esperienza con quel pezzo da museo giallo."
"Pezzo da museo? Voi neanche vi rendete conto... ma... ma cos'è questo odore?"
Il professore annusò per due o tre volte guardando Pattie con aria di rimprovero.
"Ancora non l'avete piantata con questa roba? Su, fammi entrare, portami da George."
Pattie fece entrare il professore e lo condusse al piano di sopra precedendolo sulla solida scala in legno di mogano. Nonostante l'avanzata età il professore non disdegnava il movimento ondulatorio che il fondoschiena della giovane disegnava nel salire le scale. Distrattosi inciampò nell'ultimo scalino e finì faccia a terra. Dopo pochi secondi un paio di ciabatte rosse comparirono davanti ai suoi occhi.
"Ciao George, credo che i tuoi piedi gradirebbero essere lavati. Belle le tue mutande comunque, chissà se hanno anche la mia taglia?"
"Professore, mi fa piacere che si interessi ai miei piedi nonostante lei sembri essere  appena uscito da un cassonetto dell'immondizia. Se vuole la doccia è da quella parte."
"No grazie. Non abbiamo tempo per la doccia."
"Abbiamo? AbbIAMO? ABBIAMO?"
A ogni abbiamo la voce di George si alzava di un'ottava incrinandosi sempre di più.
"Abbiamo? Non voglio più sentirla parlare al plurale quando io e lei ci troviamo... coinvolti o quello che le pare, all'interno della stessa frase. Non c'è nessun abbiamo. Ha capito questa semplice regola di sintassi?"
"Non abbiamo tempo per la sintassi George, tra l'altro mi sembra non sia mai stata un grosso problema per te, non è forse vero?"
"Ma io..."
Mentre con il volto paonazzo George tentava di aggredire il professore ancora steso sul pavimento, la dolce Pattie mise fine alla contesa con uno strillo degno della migliore banshee irlandese.
"Adesso basta! È mai possibile che con voi due debba sempre finire così?"
Entrò in una delle camere da letto sbattendosi dietro la porta talmente forte da far tremare il pavimento su cui il professore era ancora adagiato. I due uomini avevano assunto un aria mite e mortificata, potere incontrastato dell'ira femminina.
"Si tiri su, cosa ci fa piantato lì per terra? Mi dica che cosa è venuto a fare e tagliamo corto."
Con un po' di fatica il professore si tirò su, prima sulle ginocchia poi in piedi. I due uomini andarono a sedersi sul bordo del letto in un'altra camera, il primo nel suo sudicio costume da scout il secondo con le sue mutande musicali. Stettero così qualche minuto poi il professore parlò.
"Devo fare un viaggio, mi servirebbe una mano."
Il professore si voltò lentamente a guardare George il quale quasi con rassegnazione andò ad affacciarsi alla finestra.
"No professore, non ho più voglia di guanti viola e di esserini azzurri. Perché non chiama qualcuno degli altri? Non voglio più saltare da una dimensione all'altra."
"Ma qui non si tratta più di dimensioni" strillò il professore "Si tratta del tempo, del tempo, razza di zuccone in mutande!"
George si girò di scatto per guardare attentamente il professore.
"Ma il suo trabiccolo non si sposta nel tempo, di cosa diavolo stiamo parlando?"
"Vestiti e vieni con me e cerca di metterti addosso qualcosa di sobrio questa volta."
George ormai esasperato si avvicinò all'armadio aprendolo. "Il bianco va bene?"
2
I due attraversarono Claremont Drive in punta di piedi come se fossero appena usciti da un cartone animato. Proseguirono sul ciglio della strada per alcune centinaia di metri coperti dal buio della sera. Arrivati nei pressi di un folto salice piangente il professore si fermò intrufolandosi nell'intrico dei suoi rami cascanti. Riluttante George lo seguì andando immediatamente a sbattere la testa contro una dura superficie metallica. A George sembrò da subito una sorta di piccolo razzo, una navicella spaziale in miniatura come quelle che si vedevano nelle illustrazioni delle riviste di fantascienza degli anni '50. La testa del professore spuntò da un piccolo portello che si apriva sulla sommità della struttura.
"Cosa stai aspettando? Vieni dentro, non farmi perdere altro tempo!"
George riuscì a malapena a infilarsi nell'apertura facendovi prima passare il capo e scivolandoci poi dentro con il resto del corpo. Lo spazio angusto era sufficiente per un paio di persone, la plancia dei comandi era zeppa di levette, tasti, piccole lampadine e un congruo numero di ammaccature.
"Vedo che questa volta ha apparecchiato per due, perché proprio io mi domando?"
"Oh, taci per favore. La macchina non è facile da pilotare da solo, durante l'ultimo viaggio ho avuto qualche problema e non vorrei ripetere l'esperienza."
George si soffermò a osservare le ammaccature e i pannelli danneggiati sulla plancia di comando chiedendosi in che cosa il professore lo stesse trascinando questa volta.
"Scusi professore, potrei sapere dove stiamo andando?"
"Torino. Nord-ovest dell'Italia. Torniamo indietro di quarantasette anni, ho bisogno di studiare i fenomeni industriali, in quell'anno c'è stata una nascita che vorrei tenere d'occhio e mi piacerebbe fare un sopralluogo della zona Lingotto di quell'epoca. Capirai quando saremo lì. Ora sta zitto e non distrarmi, tieni sotto controllo la plancia a destra, tira su le leve delle spie che si illuminano di rosso e giù quelle delle spie che si illuminano di verde ma soprattutto taci. Quando entriamo nel vortice gira a destra il maniglione blu."
George, offeso e concentrato, si girò verso la plancia di sua competenza, il professore prese ad armeggiare con i comandi e dopo pochi secondi il veicolo cominciò a vibrare in modo deciso, i colori all'interno dell'abitacolo si fecero più vividi, le spie si illuminarono e George iniziò a manovrare le leve, veloci lampi lineari di luci multicolori cominciarono a sfrecciare davanti agli occhi di quelli che ora potremmo definire i due crononauti. Il veicolo iniziò a ruotare su se stesso creando la sensazione di vortice ormai nota ai due, il professore gridò "ora!" e George girò il maniglione blu.
3
La navicella si schiantò contro un alto palo metallico. "Eppure qui non avrebbe dovuto esserci nulla, almeno secondo i miei calcoli" affermò perplesso il professore. La gente che passeggiava nei pressi dell'ingresso di Eataly voltò la testa in direzione dell'assordante rumore senza che nessuno riuscisse a individuarne l'origine.
"Fortunatamente ho inserito un sistema di schermamento sulla navicella" disse il professore andando a infilare il veicolo tra le siepi in modo che nessuno vi sbattesse contro, poi la strana coppia uscì all'esterno al riparo degli arbusti e senza farsi notare si portò sul piazzale antistante a Eataly.
"Strano, pensavo che Italy si scrivesse con la I" osservò George dubbioso.
Il professore gli diede un'occhiataccia, poi inizio a guardarsi intorno perplesso.
"Però... questo non mi sembra affatto il 1921" Poco alla volta, dal volto del professore iniziò a trasparire una collera senza limiti.
"Cosa?" chiese George spiazzato allargando le braccia. "Cosa?"
"A destra, imbecille, ti avevo detto a destra! Ci hai spediti quarantasette anni nel futuro!"
"Beh... è lei che mi ha trascinato, ancora una volta mi preme dirlo, in una delle sue folli trovate. Torniamo indietro e finiamola qui!"
"Non possiamo tornare indietro, la navicella non sarà in grado di effettuare un altro viaggio prima di due ore, i sitemi sono surriscaldati adesso."
George sostenne lo sguardo del professore per alcuni secondi poi fece spallucce si voltò e varcò l'ingresso di Eataly. Nella speranza che non combinasse guai, il professore lo seguì. All'interno del negozio alcune persone strabuzzarono gli occhi al passaggio dell'eccentrica coppia. Un uomo si avvicinò all'orecchio della moglie "Paola, ma quello non è..." - "Ma sta zitto, che dici? Gli assomiglia però".
L'interno di Eataly era adattato in maniera armoniosa ai locali storici della vecchia Carpano, la fabbrica dove si produceva il Punt e Mes, gli spazi nati già nei primi decenni del Novecento contribuirono a non far sentire troppo fuori posto i due crononauti che immediatamente furono attratti da un concentrato entusiasmante di odori e colori. Avevano due ore da far passare prima di poter ritornare a casa, George non ci mise molto ad adocchiare l'area dedicata ai dolciumi e senza indugio vi si recò mentre il professore si dedicava all'ampia selezione di ortaggi esposta sui banchi del corridoio centrale. George non era stupido, sapeva benissimo di non poter spendere le sue sterline in Italia, men che meno poteva arrischiarsi a farlo in un'Italia del futuro. Curiosò così tra gli scaffali indeciso su cosa assaggiare, tra le tante proposte fu attratto da una confezione di cioccolatini assortiti che subito infilò sotto la larga camicia bianca. I suoi soldi non erano validi, non poteva pagare e non voleva rubare. Però desiderava assaggiare. Dopo aver esplorato il negozio in cerca di un angolo appartato, decise di assaggiare i cioccolatini in uno dei locali del piano superiore che ospitava le sale meno affollate dedicate al museo Carpano. La sala solitamente usata per le conferenze era vuota, George tirò fuori la confezione di cioccolatini da sotto la camicia, si sedette a terra a gambe incociate e svuotò il contenuto del pacchetto tra le sue gambe. Scelse con cura quale cioccolatino assaggiare per primo, lo scartò, si gettò la carta alle spalle e lo addentò. Un aroma misto di cacao e zenzero riempì la sua bocca, ne assaporò il gusto contro il palato e aspettò qualche istante. Mangiò poi il secondo, piacere mistico al sapor di mandarino. Fu con il terzo cioccolatino però che George provò la vera estasi, il tartufo al cioccolato gli provocò una sorta di mancamento, trovò un sapore talmente pieno che per alcuni istanti George riuscì a vedere solo un'intesa luce bianca. Dopo pochi secondi dovette chiudere gli occhi per gustare al meglio quel sapore unico.
Non ci volle molto tempo a George per decidere di scriverci una canzone, una canzone su un cioccolatino, o magari su più cioccolatini, perché no? In fondo la sua era la band più famosa del mondo, arrivati a questo punto poteva permettersi di scrivere di quel che più gli piaceva. E poi al suo amico Eric sarebbe piaciuta. Aveva già il titolo pronto, Savoy truffle, un omaggio anche alla storia della città. Decise che quel bagliore bianco intenso scaturito dal cioccolato sarebbe diventato una buona idea per la copertina del prossimo disco, avrebbe convinto anche gli altri una volta tornato a casa, ne era più che certo.
Da quel momento, o meglio, da quando George tornò nel suo tempo e incise insieme ai suoi compagni canzone e disco, sono passati ben quarantasette anni. Ancora oggi quella copertina completamente bianca rimane una delle cover più iconiche mai realizzate nella storia della musica e quello che avete appena letto è semplicemente l'episodio che ne ispirò la nascita.

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