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Saw (serie)

Creato il 08 aprile 2015 da Fabio Buccolini

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La recensione che segue è rivolta all’intera serie, ma incentrata soprattutto sul primo capitolo e sul suo raffronto paragonato ai rispettivi seguiti, ragion per cui l’accenno di trama che scriverò riguarda l’inizio, quando tutto è cominciato, anche perché la restante parte della saga è direttamente collegata nell’immediato, e segue la linea temporale dei successivi sviluppi della vicenda.

Due uomini, Adam Faulkner e il dottor Lawrence Gordon, si svegliano in una stanza, un grande bagno abbandonato, entrambi legati a dei tubi tramite catene alle caviglie, e al centro della stanza giace il cadavere di un uomo riverso in una pozza di sangue, con una pistola in una mano, e un registratore nell’altra; prendono il registratore, e ascoltano un’audiocassetta: sembra che siano entrambi stati catturati da un serial killer psicopatico, Jigsaw, salito alla cronaca per aver già ucciso due vittime con lo stesso modus operandi, ovvero tramite delle terribili prove-trappola che il malcapitato di turno deve affrontare per salvarsi la vita.

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Risale al 2004 questo primo capitolo della serie, ed è stato girato in soli 18 giorni dal regista James Wan, grazie al quale si è fatto conoscere al grande pubblico; se guardate “Insidious” diretto sempre da lui, noterete come le riprese e la fotografia (cupa) siano molto simili a quelle di “Saw”, e ciò denota quello che si può dire di tutti i grandi registi, che ognuno lascia la propria impronta nei film che gira, e così come si possono distinguere dalle sole riprese i film di Stanley Kubrik, di Sergio Leone, di Quentin Tarantino, di David Lynch, ecc…la stessa cosa si può dire per i film di James Wan.
La trama e la sceneggiatura sono piccoli capolavori, assolutamente non banali: lui cerca di dare una propria personale moralità al serial killer Jigsaw, interpretato da Tobin Bell, un uomo malato terminale di cancro, che fa tutto questo alle sue presunte vittime con l’intento di “purificarle”, di far apprezzare loro il dono della vita, del quale lui presto non potrà più usufruire.
Di fatto tutti coloro che sono messi alla prova dalle sue trappole sono persone che, o hanno commesso atroci delitti rimanendo impuniti, o sono vogliosi unicamente di attirare l’attenzione con ridicoli tentativi di suicidio, o sono poliziotti corrotti, o sono drogati, ecc…tutto in ogni caso è retto da delle sue precise istruzioni, tramite le quali ognuno può salvarsi rispettandole minuziosamente (in realtà non è proprio così, nonostante quello che ripete per tutta la saga, perchè anche nel primo capitolo, se Amanda Young vuole salvarsi deve uccidere l’uomo a terra nella stanza con lei, oppure morire, quindi per uno dei due non c’è via d’uscita); in ogni caso la redenzione avviene nel sangue, e anche chi si salva dovrà subire una perdita, che sia un piede, o una mano, o rimanere sfigurato, ecc…

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Per tutta la saga Jigsaw (il cui vero nome è John Kramer) afferma di non aver mai ucciso nessuno, che ognuno ha fatto le proprie scelte (non proprio libere), e le “prove” a cui sono sottoposte le vittime possono essere tutte superate senza la morte, ma come vi ho accennato sopra, ciò non corrisponde sempre, perché lui stesso (e non solo i successivi complici) a tratti non lascia scampo per qualcuno, mors tua vita mea.
Come già detto all’inizio, sia la fotografia che la scenografia sono fatte molto bene, cupe, angosciose.
Ora, per quanto riguarda gli altri capitoli, ne sono stati realizzati ben sei (come dico sempre il dio denaro regna su tutto, senza pudore); il successivo “Saw II” è il seguito diretto del primo, diretto stavolta da Darren Lynn Bousman (che dirigerà anche il terzo e quarto capitolo), il quale aveva scritto un film praticamente identico a “Saw”, chiamato “The Desperade”, ma dal momento che era quasi identico a “Saw” nessun produttore volle finanziare il suo progetto (e ci credo, che fantasia questo regista); a quel punto James Wan gli propose di modificare la trama, e di adattarla appositamente per realizzare un seguito diretto di “Saw”, offrendosi di fare da produttore (e così sarà per tutti gli altri seguiti).
Bousman accettò, e realizzò un film con una fotografia e un’atmosfera simili al primo, così sarà anche per tutti gli altri capitoli ad eccezione dell’ultimo (“Saw 3D” è ridicolo), e ciò fu possibile grazie sempre a James Wan che fece anche da aiuto regista per le riprese (senza di lui i registi che sono seguiti avrebbero fatto solamente ridere).

Da qui comunque si cambia radicalmente l’impostazione dell’opera, mentre il primo capitolo era un film che dava risalto alla trama, ai significati e all’atmosfera inquietante, con questa seconda pellicola si opta per un altro genere: il “torture porn”.
Da qui in poi si punterà unicamente a un crescendo di violenza e di effetti orridi, seguendo la scia inaugurata da un film uscito nel 2005 realizzato da Eli Roth e prodotto da Tarantino: sto parlando di “Hostel”.
In realtà il termine “torture porn” era iniziato a circolare con il primo capitolo di “Saw”, ma di fatto di effetti macabri volti a far distogliere lo sguardo allo spettatore ce n’erano davvero pochi, anche quando il dottor Gordon si taglia la caviglia con la sega a mano è più che altro suggerita la scena; in “Hostel” invece si è fatto il cosiddetto “salto di qualità”, ed è per questo che viene considerato il primo effettivo esempio di “torture porn” nel cinema, poiché per “torture porn” si intende un genere volto unicamente a mostrare torture e morti di persone o animali, soffermandosi sui dettagli nella violenza (come ossa che si spezzano, occhi cavati, bruciature, ecc…) senza alcuna censura.
Il terzo capitolo della serie credo sia il più violento, ma paradossalmente anche l’unico che si salva dagli altri per quanto riguarda gli sviluppi della trama e i dialoghi; in ogni caso lo schema è sempre lo stesso, si punta ad inorridire lo spettatore mostrando una sequenza di trappole-torture con le rispettive vittime, e si gioca sul dualismo vittima-tempo: la vittima ha un tot di tempo per salvarsi (che può essere un minuto, o dieci minuti, o un’ora), e lo spettatore vive quest’attesa non staccando mai gli occhi dallo schermo e sperando che il malcapitato riesca a sfuggire, ma che puntualmente finisce o con la testa tagliata, o stritolato, o bruciato vivo.
Tutto qui, è uno schema semplicissimo, qualsiasi idiota potrebbe farlo.

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Ricapitolando: il primo “Saw” è il migliore, anni luce avanti agli altri, tutti i seguiti puntano solo ad inorridire lo spettatore con scene di estrema violenza, anche perché più si va avanti più la trama sembra forzata, già dal secondo capitolo si capisce che “Saw” era un film non ideato per avere uno o più seguiti, anche l’enigmista stesso ci viene presentato come un uomo solo, un uomo disperato, che è diventato un serial killer, e tutti i personaggi che verranno introdotti poi (i suoi seguaci, sua moglie, ecc…) stonano con la storia iniziale, quasi a voler cercare per forza una trama plausibile che si incastri ogni volta (viva il dio denaro), ma che inevitabilmente finisce per risultare poco credibile.
Per quanto riguarda l’ultimo capitolo, “Saw 3D”, è quasi comico negli effetti splatter, sembrano appartenere più a un horror stile “Freddy vs Jason” che a un torture porn, ricalcando la nuova moda del cinema in tre dimensioni (a me fa schifo personalmente), e ogni sbudellamento o arto mozzato è posizionato unicamente per il 3D, ovvero centrato e indirizzato verso lo spettatore, ma sia questo, sia il fatto che il sangue si vede essere vernice rossa, sia il make up che lascia alquanto a desiderare (nella scena dei ganci si vedono palesemente i lembi di pelle finta sopra i pettorali), rendono il tutto comico anziché macabro e fastidioso; finale però non male, con il ritorno del dottor Gordon che conclude la serie (ma non male solo per chi avesse visto tutta la saga).
Tornando a “Saw III”, come già detto è il più violento della serie, e nonostante sia buono nello sviluppo della trama, nei dialoghi e nei significati, non si discosta dagli altri nel fatto di tenerci particolarmente a mostrare fratture esposte, teste che esplodono e crani aperti; il trucco e gli effetti sono fatti molto bene, e portano lo spettatore a distogliere gli occhi dallo schermo, diciamo che è il film che più di ogni altro film si avvicina ad “Hostel” in termini di violenza visiva, ma un gradino leggermente sotto, perché, ad esempio nella scena dell’operazione alla testa, dal davanti viene mostrata la faccia di Jigsaw, mentre nell’inquadratura diretta nel punto dell’operazione, viene mostrato il cranio da dietro, che si vede palesemente essere un cranio finto con una parrucca; un altro piccolo punto a favore di “Hostel” è la credibilità della vicenda, che a tratti sembra un po’ forzata in “Saw”, con trappole un po’ troppo fantasiose e enigmisti che sembrano poter catturare chiunque (sono invincibili), e poi non ci scordiamo che nel film di Eli Roth si vedono direttamente persone compiere atrocità su altre, qui invece avviene tutto tramite trappole, quindi perde un po’ di realismo.
Per quanto riguarda i capitoli IV, V, VI, solo molto violenti, in perfetto stile torture porn, niente di più.
La domanda in questione è questa: dopo il primo, era davvero necessario farne altri sei, cambiando anche tipologia di genere?
Io dico, decisamente no.

EDOARDO ROMANELLA



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