Sławomir Mrożek
Drammaturgo, prosatore e disegnatore. Tanti anni fa, quando ancora non conoscevo bene la lingua polacca, tradussi insieme col mio caro amico e collega Zbigniew Chotkowski la commedia di Mrożek Szczęśliwe wydarzenie, erroneamente intitolandola Un caso fortunato, mentre avrei dovuto tradurre come Il lieto evento. In omaggio a questo grande commediografo, noto e rappresentato in tutto il mondo, e scomparso due giorni fa, pubblico nel mio blog il suo racconto Wesele w Atomicach (Nozze ad Atomizze) nella mia versione, tratto dalla omonima raccolta di racconti, uscita nel 1959. Questo racconto è inserito nella mia antologia dei racconti brevi polacchi Viaggio sulla cima della notte, pubblicata da Editori Riuniti nel 1988.
Nozze ad Atomizze
Eh sì, nel campo della tecnica siamo arrivati molto in alto…
Il fidanzato aveva vicino al bosco un bel laboratorio e, a quanto pare, anche due reattori presso la strada imperiale, e nello stesso podere una piccola, ma ben tenuta azienda di sintesi chimica. Alla fidanzata il padre aveva regalato in dote un’intera centrale energetica, in una buona posizione, proprio al centro del villaggio, accanto alla chiesa. Inoltre, teneva in una cassapanca dipinta qualcosa come sei brevetti nel campo della biochimica. Nulla di strano, quindi, che i giovani fossero bene assortiti e che i genitori di entrambi avessero acconsentito subito al matrimonio. E ad Atomizze vennero annunciate le nozze.
Proprio mentre stavo facendo una laminatura a freddo, il fratello della promessa sposa venne per invitarmi alle nozze. Eccotelo lì, davvero un bel pezzo di scienziato, collega dai tempi della cattedra. Lodò il Signore, strofinò i piedi nudi sulla stuoia e si sedette sullo sgabello.
Faticavamo un po’ a conversare, perché quell’anno gli aerei a reazione chissà per quale motivo volavano particolarmente numerosi e le piste di decollo dietro il capannone s’incrociavano; senza sosta ecco che un altro si alzava in volo e col suo fragoroso gorgheggìo soffocava le nostre parole.
Già, la maritiamo, – sospirò l’ospite. – Mah, speriamo che alle nozze non scoppi qualche incidente – aggiunse afflitto.
– Che incidente dovrebbe scoppiare? – chiesi. – Sono nozze di pace, sì o no?
Sedemmo un quarto d’ora circa, guardammo i bambini che tornavano dall’università, il vecchio Józwa che trasportava il carburante nel capannone, poi mi salutò e uscì.
Venne il giorno delle nozze. Capitavano in un momento poco opportuno, perché proprio allora da noi avevano cominciato a trasformare la natura. Ciò che hanno rimboscato è stato civilizzato, ma in compenso è migliorato, mentre i deserti sono stati ricoperti di alberi. Hanno modificato il corso del fiume, perché scorresse dall’altra parte. Di conseguenza la strada per la chiesa era finita più avanti, invece nel mio cortile era venuta su una grossa diga di grande importanza economica, tanto che la porta non si apriva del tutto e a fatica si poteva uscire di casa.
Quando arrivai sul posto, la cerimonia era appena iniziata. Le damigelle cantavano:
Quando la cuffia ti metteranno,
guarda in alto il palchettone,
e i tuoi bambini nasceranno
con gli occhi neri come il carbone.
Poi le fecero l’elettrolisi e la condussero nella camera di pressione.
Nel frattempo stavano arrivando gli ospiti. Tutti erano in termostato popolare sulla tuta blu da tennis. Alcuni già fumeggiavano dagli scafandri. Nel cortile i piloti brilli scoppiettavano dai tubi di scappamento. I cani abbaiavano.
Ma soltanto dopo la chiesa cominciò la festa vera e propria. Stavo in piedi sulla panca fuori della casa per respirare l’aria del tardo pomeriggio. Dalla stanza principale giungevano i suoni svelti ora della musica dodecafonica, ora di quella sintetica. Continuamente erompevano i ritornelli e il calpestio dei piedi. In cielo spuntò una stella. I bambini la prendevano a sassate.
Le nozze erano in pieno svolgimento, allorché un po’ prima delle undici saltò in mezzo a tutti il giovane Smyga, dall’altra parte del fiume, ballerino di grido, cantante, vecchia volpe e mattacchione. Fece un paio di giravolte, si fermò davanti all’orchestra e cominciò subito a cantare:
Davanti ai nostri occhi
Il futuro splende già,
l’uomo sarà felice
se lo sarà la società!
Oh oh, oh oh!
Piacque molto a tutti. Scrosciarono risate e applausi calorosi. Ma ecco che il giovane Pieg sobbalzò, fece una capriola, spostò il berretto di lato e cantò in risposta:
Prima bisogna iniziare
dalla moralità:
la felicità sociale
attraverso la castità!
Ohilì ohilà, oggi!
Di nuovo risate e applausi. Alcuni gridarono a Smyga di ribattere a Pieg. Ma quello non disse nulla, di soppiatto si mise alle spalle di Pieg e inaspettatamente gli sparò una testata atomica, che teneva nascosta nel petto. Pieg barcollò e cominciò ad irradiare, ma fece ancora in tempo a premere un bottone del giubbotto, e dalla rampa di lancio che teneva nella gamba destra dei pantaloni, fece partire un missile a medio raggio dritto in fronte a quello. Avrebbe senza dubbio accoppato Smyga, ma l’ultimo stadio del missile non gli si accese e di conseguenza l’ordigno deviò dalla traiettoria. Smyga retrocesse, ondeggiò e si appoggiò alla barriera termica, ma quella si infranse e Smyga volò via in fondo alla temperatura, mentre il coefficiente di questa aumentava di continuo.
– Gente, che diavolo fate?! – gridò il padre della sposina, indicando l’obsoleto contatore Geiger da parete.
Ma ormai la furia e il putiferio erano scoppiati e al centro della stanza cominciarono a spuntare velocemente enormi felci azzurre: un fatto consueto in presenza di aumento di radioattività in un ambiente chiuso. Cominciarono a volare altri missili, soltanto Bańbula – lui solo – manteneva un dignitoso contegno e come niente fosse vibrava coltellate a dritta e a manca. D’un tratto risuonò un fischio acuto. Era il padrone di casa che, resosi conto di non poter calmare gli ospiti in altro modo, era balzato verso il serbatoio domestico, aveva aperto il rubinetto e, liberando i gas da combattimento nella stanza, aveva iniziato ad inquinare l’ambiente. Si precipitarono tutti alle tute, ma la mia risultò inermetica, inoltre un po’ addormentato lo ero già, perciò decisi di abbandonare la festa e di avviarmi pian piano verso casa.
La notte era luminosa, perché dalla fattoria dove si svolgevano le nozze si rifletteva un tale riverbero che potevo ritrovare la strada senza fatica. Camminavo leggero e spedito, perché anche la pioggerella radioattiva spruzzava la strada a meraviglia. Soltanto ero un po’ infastidito da un crampo nell’organismo, già, ma dopo una festa è una cosa consueta, e anche dal fatto che cominciarono a spuntarmi altre gambette, tre paia da ogni parte, un corno verde sulla fronte e sul groppone un piccolo scudo di chitina. In qualche modo comunque riuscii ad arrivare a casa, passai strisciando attraverso una fessura nella finestra e trovatomi un posticino sicuro dietro l’armadio, alla larga dai ragni, mi addormentai tranquillamente, meditando su ciò che era successo in quel fragoroso sposalizio.
(C) by Paolo Statuti