Fallire è la cosa che mi riesce meglio nella vita. Credo di avere un’inclinazione naturale nel non farcela. Dicono che questa nuova generazione abbia poco talento, io ne ho uno nemmeno tanto nascosto: sbaglio, sbaglio le cose da fare, sbaglio le cose da dire, sbaglio soprattutto le cose da non dire nel momento in cui non le dovrei non dire ma anche quando non le dovrei dire e basta, sbaglio a pensare di fare e a pensare di dire perché riesco a sbagliare anche e soprattutto nelle intenzioni.
Questo sbagliare mi imprigiona in una spirale di vari altri fallimenti da cui non ne esco se non fallendo. La vera dote però, non è tanto quella dello sbagliare, quella è naturale (grazie mamma, grazie papà), ma è quella dello sbagliare sapendo di sbagliare. Quella del non imparare dagli errori anzi, ricordarseli, metabolizzarli, e ripeterli. Per mesi, anni, decenni. Ogni volta che si presenta l’occasione giusta sbagliare, sbagliare ancora.
Però c’è anche da dire che quando sbaglio lo faccio in grande stile eh, con una consapevolezza che ciao proprio. La mia è una prigionia del fallimento, è un fallire nei propositi, è un approccio sbagliato alla volontà di sbagliare, è una poetica del venir meno.
E quando non ci sarò più mi studieranno ad Harvard, sarò oggetto di tesi di dottorato, darò il nome all’Università del Fallimento di Urbino. Diranno quello era uno che sbagliava sempre, uno che era bravissimo a fallire, ma come cazzo faceva. Teresa, ti ricordi come sbagliava bene quello lì? Sbaglieranno il nome sulla lapide, sbaglieranno la data di nascita e quella di morte. Sbaglieranno a cremarmi perché volevo essere seppellito. Sbaglieranno come ho sbagliato io a scrivere questo post, che è una merda e non lo dovevo pubblicare e invece l’ho fatto. Sbagliando.
L'articolo Sbaglio di gravità permanente è ovviamente opera di Frankezze.