Io le vedevo, tutte quelle persone, ma loro non vedevano me. . Vedevano la mano che allungava i soldi. Vedevano la mano che teneva aperta la porta. Vedevano il piede che si provava la scarpa. Vedevano la bocca da cui uscivano le parole. Vedevano i capelli quando me li tagliavano. Ma non vedevano me. La donna che non c'era. La donna che non aveva niente che non andava. La donna che era a posto. La donna che sbatteva nelle porte.
Sentivano l'odore dell'alco. Ah. Vedevano i lividi. Ah, allora. Vedevano i bernoccoli. Ah, be', allora, poveretta. Credevano al loro naso, ma non ai loro occhi.
Non so se sia davvero una casualità, visto che un po' la fissa dell'Irlanda per la prossima estate ce l'ho. Fatt'è che i primi due libri dell'anno sono di due autori irlandesi.
Ho finito ieri La donna che sbatteva nelle porte, di Roddy Doyle, con l'amara consapevolezza di averlo letto fuori tempo.
Fuori tempo perché non è certo una novità. Fuori tempo perché credo che lo spettacolo della Massironi tratto da questo romanzo non sia più in scena. Fuori tempo perché l'8 marzo è ancora lontano.
Come mi è capitato di dire su altri libri del genere e di genere, è difficile definirlo bello o brutto. Perché come fai a dire che è bello un libro che ha come oggetto e soggetto la violenza domestica? E come fai a dire che è brutto, senza sensi di colpa?
Asetticamente, non lo trovo il migliore dei lavori di Doyle. Neanche The Commitments lo era, però lì lo ha salvato il film, e poi c'era la colonna sonora. Paddy Clarke, ah ah ah! è forse il migliore, se pure perfettamente inserito in quel filone di letteratura irlandese in cui alcol-povertà-religione-famiglia formano un tutt'uno nel quale i protagonisti prima o poi affogano, salvo venirne fuori grazie alla forza della disperazione.
Qui l'humus è lo stesso, ma il fil rouge che si dipana è quello della violenza e dell'invisibilità della violenza per chi non la vuole, non la sa o non la può vedere. Doloroso, ecco. Ma troppo diligente per scavare davvero nell'anima.
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