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Scacco al Fante, pt. 2

Creato il 18 marzo 2011 da Emanuelesecco

CAPITOLO 2
1914

 

DIARIO DI HUGO STIGLITZ

12 settembre
Linea del fronte attestata a nord del fiume Aisne.
Oggi io e il mio battaglione abbiamo preso parte al nostro primo assalto, che però si è rivelato essere totalmente inconcludente. A seguito di esso il battaglione ha perso più o meno tre quarti del suo organico tra morti e feriti.
In questi giorni il nemico ha rafforzato le proprie postazioni scavando delle trincee lungo quasi tutto il fronte (o almeno così pare dai rapporti che ci arrivano) non permettendo così uno scontro frontale che porterebbe, da una parte o dall’altra, ad una vittoria. Ora che il fronte si è assestato i nostri comandanti hanno deciso di seguire l’esempio del nemico, e sono iniziati i lavori che prevedono lo scavo di una quantità infinita di trincee lungo tutto il fronte. Adesso è sera, e alcuni dei miei compagni stanno ancora lavorando alle operazioni di scavo.
Mi sembra che le tecniche di guerra siano state poco a poco stravolte in questi pochi giorni, infatti si pensa più a mantenere la propria posizione piuttosto che ad avanzare, anche se degli sparuti tentativi di conquistare qualche chilometro di terra non mancano mai (e chi potrà mai dimenticarsi l’assalto di oggi).
Non so ancora cosa provare a proposito del massacro a cui ho assistito oggi, forse nei prossimi giorni riuscirò a mettere qualcosa per iscritto a riguardo. La ferita che mi è stata inferta al collo fa male, sono stato ‘graffiato’ da un proiettile, ma almeno il dolore mi ricorda che sono vivo e quasi vegeto. In queste occasioni il dolore può essere un amico, sempre che tu non abbia una gamba o un braccio amputati.
Il tenente della compagnia alla quale faccio parte, sarebbe meglio chiamarlo plotone ormai, mi chiama.

Più tardi
Sono appena stato informato dal tenente mio superiore che il battaglione oggi ha perso circa 600 uomini su mille che ne aveva e che la nostra compagnia è stata quella che ha sofferto più perdite (140 uomini su duecento). Fortunato ad essere vivo.
Che Dio ci aiuti!

 

DIARIO DI HUGO STIGLITZ

15 settembre
Altri tre giorni di scavi intensi intervallati da interminabili ed estenuanti turni di guardia nella postazione fortificata che abbiamo già denominato Alamo… macché fortificata, non è altro che una sorta di torretta tozza e quadrata in cui la nostra unica protezione sono tre file di tronchi, belli grossi per carità, accatastati in modo tale da darci una lieve parvenza di sicurezza in questo schifoso posto che è il fronte. Il turno di guardia consiste nel stare seduto tutto il tempo, almeno un paio d’ore, e guardare dall’unica feritoia presente nella postazione, che ovviamente guarda verso le linee nemiche.
Sempre meglio che scavare, poco ma sicuro. Durante quei turni di guardia puoi anche permetterti di fumare senza sottostare alle rigide regole marziali, come se in tutta questa guerra esista una sola dannata regola che venga rispettata… dai libri che leggevo la vita del soldato al fronte mi appariva eroica, nobile e piuttosto agiata. Ma qui no, qui è tutto diverso. Comincio ad averne abbastanza anche di quelle scatolette che ci danno per cena, e sono solo sei giorni che sono qui.
Non abbiamo ancora ricevuto dei rimpiazzi per ovviare alle perdite di quel tragico 12 settembre. Il tenente sta veramente facendo di tutto per tirarci su di morale, ma tante volte i tentativi sono vani. Non tutti riescono a ritagliarsi quelle pochissime ore di pace di cui abbisogna la mente umana per rimanere vigile e lucida nel momento del bisogno. Non tutti riescono a staccare la spina per godersi anche solo le piccole cose che la trincea ha da offrirci, come una semplice sigaretta in compagnia o semplicemente la lettura delle lettere da casa.
Molti di coloro che fanno ancora parte della mia compagnia, e siamo veramente in pochi, sono ufficialmente crollati il giorno del primo assalto; qualcuno di loro non riesce neanche a scavare molto bene essendo preso tutto il giorno da tremiti alle braccia e alle gambe. Ne parlavamo prima io e il tenente, quindi abbiamo deciso che i casi più disperati li manderemo in guardia all’Alamo, sperando che la pace che regna in quella postazione possa giovargli in qualche modo e magari aiutarli a riacquisire la perduta concentrazione.
Staremo a vedere…

 

DIARIO DI HUGO STIGLITZ

17 settembre
La condizione degli uomini sembra migliorare pian piano grazie all’Alamo. Sembra che il tenente ed io avessimo ragione a proposito, gli uomini sembrano essere più rilassati e affrontano gli ultimi lavori di scavo di buon grado e senza troppi tremori di sorta.
Un altro fattore che aiuta la ripresa di un ottimo morale tra la truppa è la momentanea assenza di assalti, ma penso che al prossimo, se mai i nostri comandanti si decideranno a tentare di conquistare le postazioni nemiche così da far ritirare la truppe alemanne di molti chilometri, la situazione sarà da capo.
Mi chiamano dall’Alamo… che io sappia non tocca a me essere di guardia. Spero solo che qualche soldato non abbia fatto qualche stupidaggine.

Più tardi
Bruttissima notizia. Il tenente, mentre era in visita all’Alamo per controllare la situazione, è stato colpito alla testa da un proiettile nemico. Il soldato che era di guardia mi ha spiegato un po’ la dinamica dell’incidente: stava scrutando le posizioni nemiche quando è entrato il tenente e ha cominciato a fargli domande su come era la situazione. Dopo un breve colloquio il tenente ha voluto dare un’occhiata di persona attraverso la feritoia, ma appena si è seduto la sua fronte è stata raggiunta da un proiettile alemanno facendo schizzare le cervella sul terriccio che costituisce il pavimento temporaneo, spero, della postazione.
Inutile dire che il soldato sopravvissuto è sotto shock e che ho dovuto mandarlo in infermeria per farsi visitare e magari farsi offrire un bicchiere di buon gin. Per quanto riguarda il tenente non c’è stato altro da fare che avvolgere la sua testa con un telo e portarne il corpo esanime nelle retrovie per poi farlo partire per l’Inghilterra. Almeno lui tornerà a casa… morto ma a casa. Magra consolazione.
Il comandante mi ha informato che data la scarsità di forze alla quale nostro malgrado siamo sottoposti verrò nominato tenente al più presto, ritenendomi l’ufficiale più capace tra i pochi rimasti. Quindi mi troverò al comando della mia compagnia… bello scatafascio di compagnia. Non sono ancora arrivati i rimpiazzi e dopo la notizia della morte del tenente il morale degli uomini ha ricominciato inesorabilmente a calare.
Magari questa sera scriverò qualcosa a Marilyn. In effetti è un po’ di tempo che non le mando mie notizie.

 

LETTERA DI HUGO STIGLITZ A MARILYN MURRAY

17 settembre
Mia adorata Marilyn,
il tempo e la distanza che mi tengono lontano dal tuo viso e dal tuo cuore mi fanno sentire sempre più la tua mancanza e facendomi perdere ogni interesse per ogni altra cosa, compresi il comando e la disciplina.
Quest’oggi il tenente Lyndon, che ti ricorderai senz’altro in quanto veniva spesso a bere il tè a casa nostra, è stato ucciso da un cecchino nemico. Come conseguenza del suo decesso ho ricevuto la nomina a tenente di plotone e dovrò, con tutta la forza che mi rimane, comandare questi uomini ridotti uno peggio dell’altro.
So perfettamente che dovrei rimanere fermo nelle mie convinzioni e far ricorso a quella forza di carattere che tu hai detto mi distingue dagli altri, ma proprio non ce la faccio. Lyndon (ma perché lo chiamo per cognome?) ha lasciato nella compagnia uno spazio incolmabile, una mancanza che non ho sentito nemmeno il giorno del nostro primo assalto quando perdemmo tre quarti dei nostri uomini tra morti e feriti. E dire che la situazione, da quell’infame assalto, stava pian piano migliorando: grazie ai lavori di scavo delle trincee gli uomini avevano riacquistato un po’ di quella spensieratezza che gli dovrebbe appartenere di diritto in quanto si tratta, per la maggior parte, di ragazzi che solo da poco hanno raggiunto l’età per arruolarsi.
Ormai sono giorni e giorni che non ci ordinano un nuovo assalto e sinceramente spero che quell’ordine arrivi il più tardi possibile. So benissimo che siamo qui per scacciare l’invasore dei nostri alleati francesi, ma non riesco proprio ad immaginare un nuovo assalto alla baionetta contro una mitragliatrice che miete file e file di soldati come se niente fosse.
Visto che sono tempi duri, e visto che non ci avevo pensato alla mia partenza, allego a questa lettera il mio testamento. Ho deciso di lasciare tutti i miei averi a te, tranne la mia alta uniforme e le altre medaglie che ho lasciato a casa, quelle le avrei destinate a mio padre (so per certo che gli sarebbe di conforto averle). Per quanto riguarda la casa, la carrozza e tutto il resto sarà tutto tuo. Spero proprio che tu non debba aprirlo mai, non oso immaginare che colpo sarebbe sia per te che per i miei genitori.
Però non oso ugualmente immaginare una mia dipartita per mano dei proiettili nemici senza poter, un’ultima volta, godermi il profumo dei tuoi fluenti e morbidi capelli né senza poterti dare un ultimo bacio, anche sfuggevole. Non riesco ad immaginare tutto ciò, ed è proprio per questo che sono tanto affranto. Qualche volta, durante i turni di guardia, mi sorprendo persino a tremare pur non avendo freddo. È la paura mia dolce Marilyn, paura di non rivederti mai più.
L’ho già scritto nel mio diario, questo non era il tipo di guerra che mi aspettavo. Non dar retta ai libri o alla radio: non vi è onore in quello che facciamo, non ci sono eroi, non ci sono eroiche cariche allo squillo di qualche tromba e benché meno un nemico che si arrende udendo solo le nostre grida prima di un assalto. Ci sono solo uomini che lottano ogni giorno per la sopravvivenza, perché la morte potrebbe arrivare sia da lontano, come successo a Lyndon, che tramite una baionetta affilata.
Mi dispiace cara Marylin, ma più di così non posso andare avanti a scrivere, siamo costretti a razionare attentamente anche i fogli di carta, tanta è la lentezza con la quale ci arrivano i rifornimenti. Spero solo, nella prossima missiva di essermi ripreso quel tanto da non farti preoccupare sul mio stato emozionale che ultimamente, e dopo oggi ancora di più, è molto precario.
Ti amo infinitamente e spero vivamente di riuscire a sopravvivere quel tanto dal poterti spedire anche solo un’ultima lettera d’addio.
Tuo marito,
   Hugo

 

DIARIO DI HUGO STIGLITZ

18 settembre
Non posso scrivere molto, ma ho intenzione di farlo lo stesso in quanto alcune circostanze non mi permettono di sapere quando riuscirò nuovamente ad aprire questo diario.
Quest’oggi abbiamo subito il nostro primo assalto da parte del nemico, e devo dire che abbiamo resistito con forza e tenacia nonostante la grave perdita di ieri.
Quando i colpi dell’artiglieria nemica hanno cominciato a colpire il terreno circostante la nostra trincea e i fischietti degli ufficiali hanno cominciato a suonare per richiamarci all’attenzione, ogni uomo ha dato prova di incredibile fermezza di mano anche se fino a pochi secondi prima era seduto a terra, tremante dalla paura. Questo non riuscirò mai a spiegarmelo, cosa succede nel nostro cranio quando siamo richiamati per forza di cose al dovere?
Comunque sia, il fuoco dei cannoni nemici è durato circa una decina di minuti, quel tanto da farci rimanere rintanati sperando che un proiettile in caduta libera non arrivasse dritto dritto in trincea… per fortuna non è successo, almeno nella nostra sezione.
Quando il fuoco di sbarramento terminò gli ufficiali di grado più alto ci fecero posizionare nelle nostre posizioni di mitragliatrici e lungo tutta la trincea a fucili spianati, pronti a far fuoco. Quando il nemico uscì dal fumo non ci fu un attimo di esitazione… uno ad uno li falciammo come si falcia il grano d’estate. Cadevano, cadevano e cadevano, in quel momento mi resi conto di cosa dovevano aver provato i soldati nemici qualche giorno fa quando noi ricevemmo lo stesso trattamento: una sorta di gioia sanguinaria. Mi vergogno un po’ a scriverlo, e spero che Marilyn non legga mai queste pagine, ma la visione del sangue alemanno ci donò una sorta di sadico vigore al quale non potevamo sottrarci. Eravamo tutti in preda alla stessa emozione, ci sembrava di essere al tiro al bersaglio. Non vado molto fiero di queste parole, ma giurai di scrivere nient’altro che la verità su questo diario… e questi sono i fatti, nudi e crudi.
Il tutto terminò dopo una decina o forse poco più di minuti. A quel punto il fumo si era definitivamente diradato, lasciandoci alla vista la terra di nessuno cosparsa di corpi dalla uniforme grigio-verde. Non erano nemmeno riusciti ad arrivare alle nostre file di filo spinato e nemmeno a lanciare una granata in trincea.
Qualche minuto dopo la fine dell’assalto ecco apparire i barellieri e, ovviamente, ricevemmo l’ordine tassativo di non sparare.
Le uniche perdite che la nostra compagnia subì furono un paio di uomini dentro all’Alamo, che venne fatto saltare in aria da un colpo di cannone durante il fuoco di sbarramento, e altri tre (di cui due feriti solamente di striscio) in una postazione di mitragliatrice rialzata, colpiti dagli spari delle truppe che ci attaccavano. Non so, ma ho come la sensazione che sia stato tutto un po’ troppo facile, però è forse la stessa cosa che hanno pensato i mitraglieri nemici qualche giorno fa. Chissà…
Certo è che, se gli assalti si ridurranno ad una corsa attraverso un campo spoglio com’è quello dove ci troviamo noi, beh… sarà difficile anche solo ottenere anche il benché minimo risultato in questa dannata guerra.
Ecco, lo sapevo. Dovevo scrivere poco per risparmiare un po’ di carta per scrivere ancora a mia moglie e ora mi è rimasto solamente un unico foglio. Beh… me lo farò bastare.
Ultima nota: i nostri ufficiali hanno deciso di ricostruire l’Alamo. Ma non si rendono conto che quella postazione è una condanna a morte? In certi casi la loro testardaggine è pari solo alla loro incredibile stupidità. Prevedo una diserzione senza precedenti dai turni di guardia in quella postazione…

 

LETTERA DI MARILYN MURRAY A HUGO STIGLITZ

22 settembre
Mio caro e adorato marito, la tua lettera mi è arrivata solo ieri e non sai le lacrime che ho versato leggendola. In che mondo stiamo vivendo, in cui si permette agli uomini di vivere e vedere le cose che ti stanno tanto sconvolgendo. Sembrava che entrando nel ventesimo secolo avremmo vissuto in un’era di pace e benessere, ma mi sembra che tutto sia andato a scatafascio e che non sia cambiato proprio niente. I mariti vengono ancora inviati a combattere in fronti lontani da casa facendogli lasciare la famiglia, la moglie e tutti gli averi in loro possesso ad attendere o una lettera battuta a macchina dal ministero o il ritorno a casa di un uomo che non sarà mai più lo stesso.
Se penso alle parole che hai usato nell’ultima lettera mi viene ancora da piangere, come tutt’ora sto facendo.
No. Basta.
Non devo essere un peso per mio marito, facendolo preoccupare della moglie rimasta a casa, ma non posso fare a meno di esprimere lo sconforto che provo quando leggo le tue lettere. E dire che fino ad una decina di giorni fa eri molto motivato ad andare avanti comandando rettamente i tuoi uomini.
Perdonami mio adorato, se dalle mie parole traspare una cotale disperazione per te e per i tuoi compagni, ma non posso proprio farne a meno. So benissimo che dovrei parlarti di argomenti felici, ma mi risulta difficile, tanto penoso è lo stato in cui tu e gli altri soldati vi trovate in questo momento. Se può esserti di conforto nemmeno io immaginavo che la guerra potesse essere questo, anch’io immaginavo battaglie gloriose e pregnanti onore da ogni baionetta, da ogni colpo di cannone e da ogni sparo. Non so se il sapere che in realtà non è così mi riempie di gioia o no. Certe volte la realtà dei fatti fa troppo male perché una semplice moglie come me ne possa venire a conoscenza. Lo dico perché ogni volta che leggo le tue parole e avverto i tuoi sospiri di disperazione mi viene un tuffo al cuore e mi ritrovo incapace di fare anche la più banale delle cose qui in casa.
Ti amo, mio adorato marito, e non vorrei mai ritrovarmi definitivamente da sola per causa di questa guerra che ti ha strappato via dalle mie braccia e da tutti gli affetti. Non riuscirei a sopportare una cosa del genere, tu sei tutta la mia vita, amore mio, e non voglio trascorrere una vita di pene e sofferenze e pianti solo perché il mio adorato principe non è tornato a casa.
Quindi, mio adorato, il più grande consiglio che ti posso dare è di tenere duro. Lo so che è difficile, ma devi provarci, solo in questo modo tornerai da me sano e salvo. Magari tra qualche mese, visti i tuoi sforzi in battaglia, i superiori decideranno di rimandarti a casa e allora io sarò qui ad aspettarti eccitata ed emozionata come quel giorno che venisti per la prima volta a casa dei miei genitori, quando ci eravamo appena conosciuti. Quel giorno non mi aspettavo certo di vedermi arrivare in casa un sergente in alta uniforme. Ora non ti nascondo i desideri che feci su di te in quel momento, capii che era con te che volevo passare il resto della mia vita… sempre fedele… sempre innamorata come il primo giorno.
Tua moglie,
   Marilyn

p.s. ti allego un’altra mia foto che ho fatto in questi giorni e che ti serva per tenere duro laggiù. Ti amo, amore mio. Ti amo con tutta me stessa.

 

To be continued…

 

E.


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