Scarcagnizzu di Mino De Santis, lo spazio autoriale della verità

Creato il 01 agosto 2011 da Faprile @_faprile
lunedì, 01 agosto 2011 Scarcagnizzu di Mino De Santis, lo spazio autoriale della verità Mino De Santis è la voce cantautoriale di questo Salento affranto dal passato che si staglia nelle maglie del reale presente che mai si divincola in quel necessario stringersi alla memoria per farsi presente ed evoluzione. Mino De Santis è un cantautore che conosce bene l'importanza delle parole, legate a doppio filo ad una scrittura ironica, ma profonda che svela il quotidiano. Scarcagnizzu è il suo primo album, prodotto nel 2011 dal Fondo Verri di Lecce.

Da: Il Paese Nuovo, 2011-07-27

   www.salentoinlinea.it, 2011-08-01

  

 
Scarcagnizzu, Erika Sorrenti e Francesco Aprile recensiscono l'album di Mino De Santis

Come Mino De Santis non sia una delle solite “cose nostre”, di quelle robe da sagra, da finto divertimento, di scarsa qualità, lo capisci subito. E non solo perché sia in gamba con la chitarra e con le parole, né perché non ci siano tamburi e tamburelli ad accompagnarlo. Lo capisci da quell'aria seria con cui propone i suoi pezzi, che quasi ti fa sentire in imbarazzo per le tue fragorose risate, stupida che sei. Quell'aria che sembra dirti “ehi, io faccio sul serio, non racconto mica barzellette”. E a ben vedere,n anzi, a ben ascoltare, i testi di Mino De Santis saranno pure ironici, ma non certo comici. Quando attacca con quella storia del cavallo, non so, vedi le donne pugliesi, tutta la vita piegate ad arare la terra, a raccoglier frutti, a crescer figli, ma sempre con quell'aria da “bisbetiche indomate”. Ci vedi gli immigrati senegalesi pure, a faticare sui cantieri fotovoltaici anche con la pioggia, che tanto un po' d'acqua sulla pelle spaccata dal sole della mattina fa sempre bene. E poi giù a protestare anche loro, quando i soldi non arrivano, giacché va bene esser trattati da animali da soma, ma il danno, oltre la beffa, non si può proprio sopportare. E ricordi di amarla sta terra triste, rossa e arsa, sto benedetto Salento. Che sempre con le stesse storie del sole, del mare e del vento, della taranta e del reggae ne stanno facendo una barzelletta. E ti accorgi che è vera pure la storia del nazionalismo, che si fa sentire quando dalla tua terra te ne allontani. E vai alla Svizzera, a comandare tutti, a fare il gran signore, peccato che d'inverno faccia freddo e non ci sia mai la luna in cielo. Stare fuori casa è dura per tutti, noi lo sappiamo, per questo i radar anti-uomo qui a sud non ce li vogliamo. Ed ovunque tu nasca o viva, c'è poco da fare, la sciagura di non essere quello che vorresti, ti può sempre capitare. Come in quella storia del geco e dello scarafaggio, che ti fa pensare a come possa essere una vita da reietto. Però attenzione, da anziano e malato tutto è accettabile, la morte per prima. E qui le risate non si possono proprio trattenere. Il nonno è morto? No! Non ancora? Ma quanto ci mette a morire? C'è il vestito nero da cucire, i fiori che stanno appassendo, e il volto contrito è stanco di recitar la parte della faccia da Nana depressa.

E poi ci sono le parole. Quelle che si consumano lentamente. Perché prima di entrare in circolo spezzano luoghi comuni e frasi fatte. Le parole. Perché ci sono quelle che una volta dentro non escono più. E non dimentichi, come il nostro tempo fa da un po', ciò che abbiamo attorno per sostituirlo con uno scenario favolistico a metà fra un carnevale di Rio e la sagra di paese. Mino De Santis è un ascolto che il tempo e la pratica portano a metabolizzare. Non è la risata di turno ciò che arriva e resta. Ma un ondulato senso di profondità che scolpisce immagini nella memoria e libera l'ascolto dalla superficialità attorno. È una e tante storie, ora dimentiche, del sapore della terra e del valore del lavoro, oggi precario e mai pagato. È un grido unico di denuncia. È un disco che è un coro, unanime, che nel raccontare cela la passione e la rivalsa di uno scenario che sarebbe anche ora iniziasse a cambiare. In meglio, con scelte ponderate di chi ha lo sguardo non insabbiato in cartoline pubblicitarie che tralasciano i rifiuti e l'indecenza sul filo del mare. Uno sguardo gettato nell'oltranza della speranza, dell'aprirsi alle possibilità di miglioramento senza dimenticare la continua e sostanziale deturpazione della condizione sociale. Mino De Santis è una storia e in sé ha il raccontare. E chiari sono i riferimenti alla tradizione cantautoriale italiana, la scuola genovese, De Andrè, Conte, lo sprezzo che schiuma torna e non è doma la parola, trasportata sradicata via dal tipico cantautorato italiano e affondata nelle crepe di questo Sud ormeggiato nella deriva della dimenticanza, affondata nelle crepe di questo Sud per poi divincolarsene in un capovolgimento amico della piega, dell'anima, del sussulto e ricuce la piega la speranza, rinvia, il capovolgimento, ad un immaginario salvifico scontornato dai cliché, liberato dalla tradizione da autoimposizione micronazionalistica, politica ascensionale televisiva. Scarcagnizzu è uno spaccato diverso, è lo spazio autoriale della verità che ha fame e mai sazia si divincola nelle pieghe asmatiche della memoria, per non subirne il peso e la mattanza.

Erika Sorrenti, Francesco Aprile

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