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Scarti biomasse: proposte per un uso sostenibile e produttivo

Creato il 24 giugno 2013 da Cultura Salentina

24 giugno 2013 di Redazione

di Nicolino Sticchi

Ogni anno le aziende agricole e i piccoli agricoltori, nel periodo delle potature di olivo, vite e frutteti e della lavorazione dei prodotti agro-industriali, si trovano davanti al problema dello smaltimento degli scarti, che vanno dalle biomasse legnose, alla sansa, alle acque di vegetazione. Materiale che potrebbe essere valorizzato per usi vari e che invece, per l’assenza di filiere per il recupero, viene smaltito, spesso in modo irregolare, con grave danno per l’ambiente e per l’economia degli stessi operatori. Se a ciò poi si aggiunge l’assenza di qualsiasi informazione circa i possibili soggetti 

con i quali interloquire per la eventuale commercializzazione delle biomasse, la raccolta e gli impianti di utilizzo, l’interessato è ancor più abbandonato a se stesso o alla mercé di qualche operatore senza scrupoli.

Che la gran parte degli scarti di potature vengano bruciati sul posto, con pericolo di incendio e di inquinamento ambientale, è diventato un fatto quasi normale. Come un fatto normale è diventato anche l’interramento dei residui delle coltivazioni arboree, quasi sempre contaminati da inquinanti.

Un esplicito richiamo a una corretta gestione della biomassa costituita da residui vegetali derivanti da sfalci e da potature è riportato nella Delibera di Giunta Regionale n. 1106 dell’aprile 2010, nella quale è evidenziata la nota tecnica dell’Ufficio Osservatorio Fitosanitario del servizio Agricoltura, che invoca la impellente necessità di intervenire a contenere il continuo diffondersi di gravi patologie per importanti colture agrarie regionali a causa della presenza di parassiti sui residui vegetali. Nella stessa delibera si fa riferimento anche ai metodi di smaltimento oggi in uso dalla gran parte dei coltivatori, come: la triturazione, la bruciatura e l’interramento. Triturazione e interramento che non risolvono per. Il problema del diffondersi dei parassiti, per cui sono richiesti sistemi di intervento più radicali.

Ecco allora che la Regione, al fine di mettere in atto tutte le iniziative utili per una corretta gestione dei residuali provenienti dall’agricoltura, propone la redazione di un “Regolamento regionale relativo alle procedure di utilizzo agricolo e/o di bruciatura dei residui vegetali”, che, a tutt’oggi però, non è stato ancora adottato. Provvedimento che, dopo la Delibera di Giunta Regionale 2275 del novembre 2012, inerente l’approvazione della “Banca dati riguardanti le potenzialità residuali delle principali biomasse agricole disponibili per Province e Comuni”, diventa sempre più urgente. Emerge infatti, dallo studio approvato, la disponibilità annuale di decine e decine di migliaia di tonnellate di sfalci di potature varie, di residui della lavorazione dei prodotti agricoli, di biomassa da reflui zootecnici, che non si sa con esattezza che fine fanno. Si sa, ad esempio, che delle biomasse agricole residuali, solo una piccola parte viene recuperata a fini energetici, mentre il resto viene destinato a legna da ardere, altro viene bruciato a cielo aperto, altro ancora trinciato e interrato in loco. Della fine poi dei residui agro-industriali e dei reflui zootecnici, si sa ben poco, sia riguardo al recupero che allo smaltimento.

E’ necessario quindi, per venire incontro agli agricoltori e per regolamentare la crescente richiesta di autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da biomasse della potenza di un megawatt, che gli Enti locali: Comuni, Provincia e Regione, concordemente e con il preventivo coinvolgimento delle Associazioni di categoria e dei cittadini, dispongano:

- un censimento degli impianti presenti sul territorio destinati all’utilizzo delle biomasse;

- una pianificazione impiantistica necessaria a fare fronte alle esigenze dei materiali effettivamente disponibili, tenendo

conto, nella prevedibile collocazione territoriale, dei luoghi che hanno già dato in termini di produzione e di impatto ambientale;

- una analisi sui rischi derivanti all’ambiente e alla salute da uno smaltimento improprio delle biomasse e dall’utilizzo

di processi industriali meno virtuosi;

- indirizzi a privilegiare impianti di piccola taglia, destinati all’autoconsumo, capaci di sfruttare le sole biomasse locali o di comprensorio di unione di comuni o di distretti agroenergetici;

- indicazioni per attivare sul territorio delle reti di raccolta dei residui al fine di abbattere i costi di smaltimento.

- un piano che vieti o limiti la coltivazione delle colture energetiche ai soli terreni agricoli in stato di completo abbandono o contaminati, per contenere il consumo di suolo e le poche risorse irrigue disponibili;

- degli incentivi per le aziende agricole che decidono di utilizzare per i propri consumi energetici le biomasse autoprodotte.

- delle premialità per favorire la realizzazione di impianti con processi tecnologici meno impattanti dal punto di vista della sostenibilità e dell’inquinamento.

Continuare ad attribuire, come spesso accade, responsabilità del mancato utilizzo dei residuali al diniego assoluto dei territori a qualsiasi richiesta di istallazione di impianti di recupero biomassa, sia che essa avvenga mediante processi biologici capaci di generare biogas e materiale per utilizzo agronomico, sia che avvenga mediante processi di cogenerazione capaci di produrre energia elettrica e termica, è fuorviante e serve solo a nascondere le reali responsabilità di chi amministra.

Se repulsione vi è da parte dei territori, è dovuta: all’assenza di una seria programmazione; alla mancanza di adeguati sistemi di controlli ambientali per rassicurare i cittadini dall’inquinamento, validi per i grandi come per i piccoli impianti; alla mancanza di segnali di contenimento dei combustibili fossili da parte delle mega centrali di produzione di energia elettrica operanti in Puglia, nonostante il nostro territorio produce il doppio di energia rispetto al suo fabbisogno.


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