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E il regista JT Petty si mostra assai attento nel dosaggio del cocktail, servendosi di un plot che a primo acchito sembra una derivazione dark di Tremors, per costruire però un far west sospeso e rarefatto, che non lesina in violenza e desacralizzazione degli stereotipi del genere guardando, in maniera più o meno evidente, a pellicole d'autore recenti come L'assassinio di Jessie James per mano del codardo Rober Ford. Dopo un classico prologo atto a preparare la giusta dimensione d'attesa, con creature nell’ombra che in una notte di tregenda danno l'assedio a un’innocente famiglia di coloni nel Dakota, The Burrowers accompagna alla svelta lo spettatore lungo il suo vero viaggio e per tutta la prima ora è, a tutti gli effetti, una sorta di Sentieri Selvaggi in chiave moderna, brutale e revisionista, con tutti gli elementi tipici del filone come: la ricerca dei rapiti da parte di un gruppo di volontari (solo che i rapitori, si scoprirà, non sono i pellerossa, ma sinistri mostroni che vivono sottoterra), il territorio brullo e ostile, il plotone di soldati (dipinti come una manica di pazzi sanguinari), gli esperti frontiermen, gli scontri a fuoco e i bivacchi notturni. Nonostante qualche passaggio a vuoto e qualche incongruenza narrativa (soprattutto nella parte centrale), il film è avvincente nonché solidamente imbastito e, cosa più importante, quando finalmente si arriva al momento dello “svelamento”, le aspettative dello spettatore non vengono frustrate: le creature hanno un aspetto e un modus operandi piuttosto originale, ai quali va aggiunto un background mitologico volutamente fumoso ma perfettamente incastrato nella geografia locale. Notevole anche il finale tutt'altro che consolatorio, la qual cosa, per un film presumibilmente indirizzato a un pubblico di teenagers, colpisce e impressiona in maniera positiva.
Il cast è convincente (un granitico Clancy Brown, uno schizzato William Mapother e un Doug Hutchinson nella parte dello stronzetto arrogante che pare ormai la sua cifra abituale) e i personaggi risultano molto ben disegnati, ognuno con caratteristiche precise. Gli effetti speciali sono mostrati a piccole dosi, e ringraziando Iddio non sono fatti con due soldi (o se lo sono tanto di cappello ai tecnici capaci); e nonostante il ritmo non sia certo forsennato, la vicenda si lascia seguire senza particolari problemi di straripamento, anche se il succo (i burrowers) ci viene somministrato cum grano salis. Lontano dallo stile videoclipparo e frenetico di molti horror contemporanei, Petty si prende il suo tempo per raccontare e per costruire, passo dopo passo, un’atmosfera affascinante anche grazie alla plumbea fotografia di Phil Parmet e alle musiche di Joseph LoDuca. Godurioso!
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