Magazine Opinioni
"Scegli la tua avventura" è stato il titolo di una collana di narrativa per ragazzi in voga un paio di decenni fa. I libretti, di formato tascabile e di facile lettura, adatti all'età della prima adolescenza, avevano la caratteristica di proporre storie interattive. Di là da venire i giochi di ruolo e le avventure grafiche, permettevano di orientare il destino del protagonista richiedendo al lettore di intervenire nei momenti cruciali dell'avventura, attraverso una scelta fra due opzioni possibili. Il meccanismo non è diverso da quello delle altrettanto famose e coeve "storie a bivi" di Topolino; anche a distanza di anni e dopo diversi giri di boa di evoluzione tecnologica, trovo che il sistema abbia conservato intatto il proprio fascino.
Una volta compiuto il processo di immedesimazione, è inevitabile immaginare il seguito, riferirsi emotivamente alle azioni di un protagonista che ci coinvolge, in positivo o in negativo, fino a giungere ad anticiparne le scelte, sperando con trepida partecipazione che la narrazione prosegua nel filone desiderato. Non sempre va così, è ovvio: il disattendere le nostre aspettative di lettore è il gioco sadico di chi scrive. Se condotto con maestria, questo alternarsi di frustrazione ed emozione rende irresistibile la lettura (non voglio affatto dire che il lettore medio sia masochista, ma essere conquistati da una storia è un po' come venir sedotti: perché la cosa funzioni ci vuole un approccio dolce, ma con un pizzico di sale).
Insomma, ci piace anticipare e spesso desideriamo continuare in maniera personalizzata il flusso degli eventi. Ciò è particolarmente vero quando si parla di incipit: dopo le primissime righe di un libro, scatta subito l'istinto di proseguire con le proprie scarpe. L'immaginazione, prendendo spunto da poche righe di contestualizzazione, ha già costruito un suo mondo, almeno nei tratti fondamentali. Si è già "fatta il suo film", insomma. Magari, qualche pagina dopo, il quadro di riferimento sarà del tutto cambiato, essendo giunti nel frattempo altri stimoli, particolari, precisazioni. Lentamente la fantasia viene ricondotta nei binari del percorso dove ci vuole lo scrittore e la mente lavora per rendere vivida e credibile la scena progettata da qualcun altro.
Per quanto i destini dei protagonisti possano essere incrociati, i finali possibili saranno limitati e diversi da quelli che avremmo raggiunto.
E... se non fosse così?Se i libri o i racconti si fermassero dopo venti o trenta righe, lasciando a chi legge l'incombenza di completare il resto del lavoro? Una bella comodità per chi picchia sulla tastiera! Credo che sarebbe interessante vedere quante diverse storie possono emergere, dove si sono spinte, e in quante direzioni diverse, le immaginifiche menti di altrettanti lettori.Da queste considerazioni è nata l'idea di riproporre un Meme dal titolo "scegli la tua avventura", iniziativa che parte qui sul Coniglio Mannaro ma che può essere raccolta e ribloggata da chiunque, con qualunque mezzo.
Le regole sono semplicissime:1) condividere il titolo del Meme, il link a questo post e a chi vi ha proposto o permesso di partecipare;2) copiare l'incipit che trovate al termine del post3) sviluppare il proprio racconto, senza limiti di lunghezza e genere, purché sia coerente con l'incipit ed utilizzi i personaggi proposti (è possibile crearne di nuovi) e pubblicarlo sul proprio blog o profilo.4) segnalare, nei commenti a questo post, il racconto pubblicato.5) diffondere l'iniziativa, se possibile chiamando in causa direttamente altri due scrittori. Tutti, comunque, possono partecipare.
Allora... si parte. Anzi, si inizia!
Ecco l'incipit propost, da continuare con le regole sopra ricordate. Buona avventura!
Al di là dei riflessi opachi e freddi della cupola biancheggiavano le sponde dell’oceano; le acque cobalto della baia ne lambivano la riva a brevi intervalli, con carezze viscose. Fra le pieghe di velluto denso della superficie luccicavano agli imprevedibili scoppi di luce violetta della vecchia Ritelgeuse. Il riverbero di quei bagliori rimbalzava, come un’eco istantanea, sulle travature del Braccio verticale dell’astroporto. Visti dal basso, i tralicci che lo componevano salivano perpendicolarmente all’orizzonte, formando il tronco metallico di un albero ciclopico, piantato fin nel cuore del pianeta. Una selva di diramazioni laterali si staccava dalla struttura principale e da ognuna di queste germogliavano a loro volta numerosi altri segmenti, in una serie di molti ordini di ramificazioni. Dalle più piccole appendici terminali, ciascuna grande dieci volte un uomo, le navi spaziali pendevano come frutti maturi.
Miriadi di vascelli, un numero forse incalcolabile, ma di gran lunga inferiore a quello delle stelle verso cui erano rivolte le loro prue affusolate, la dove la razza umana aveva osato per prima spingere lo sguardo. Le sagome tozze dei grandi cargo oscuravano con ombre nette e spigolose gli ovali dei caccia da perlustrazione, cento volte più piccoli, scintillanti per il riverbero azzurrognolo delle luci di posizione. Tutto intorno a quei colossi del cielo ondeggiavano, come altrettanti satelliti, veicoli da esplorazione, aggraziate navi di linea, che contrastavano con le aguzze e sinistre fusoliere degli incrociatori da battaglia. A loro volta, le gigantesche astronavi da carico scomparivano al cospetto della mole titanica delle Arche planetarie, attraccate alla parte terminale del Braccio, che incombevano su tutto sfidando ogni legge di prospettiva con le loro dimensioni incomprensibili. Nella rotazione asincrona, che assicurava alle varie sezioni dell’immensa struttura la possibilità di disperdere il carico statico, le sfere contenenti i mondi artificiali passavano alternativamente sopra alla porzione di cupola dove si trovava Jonas, come piccole lune punteggiate di luci.Nel momento in cui l’ombra ricoprì ogni cosa, il veterano sollevò lo sguardo dalla propria tazza di caffè, ormai freddo, pensando che stava aspettando Lucille già da cinque rotazioni: ma quella che aveva oscurato il cielo freddo di Ritelgeusille non era un’Arca. Prima che potesse realizzare l’immensità di ciò che stava accadendo, la luce lo avvolse, ed ogni traccia di pensiero coerente si dissolse nell’abbacinante eco elettromagnetica dell’unica esplosione, che aveva scomposto, in una frazione di tempo di brevità incomprensibile, tutta quella porzione di universo nelle sue particelle elementari.
A quel punto, come ogni volta, Eleanor si svegliò.