Le vicende degli ultimi due mesi hanno accelerato la preparazione della tempesta perfetta che accumula forza nelle regioni di confine tra crollo e cambiamento di paradigma, ma soprattutto sta alzando sempre di più il sipario del futuro che ci attende. Naturalmente non sono un ” ben informato” di quelli che il web e i blog sfornano senza pausa, in grado di delineare con certezza il futuro, vado a tentoni e non so dare risposte, né ho presuntuose certezze da offrire. Anzi una ne ho: che l’incertezza, un succedaneo emotivo del dubbio cartesiano, è esattamente lo spirito del tempo, la cruna dell’ago che accoglie i problemi e le contraddizioni del pensiero unico, come un contrappasso della stasi finale e delle certezze che esso ha posto a base della propria fede. Qualunque tentativo di ritorno al passato e di ancoraggi mentali a questi nostoi economici e sociali, è destinato a perdersi nell’inefficacia e non è un caso che esso venga continuamente suggerito dal milieu economico – ideologico con le sue riprese e crescite di fantasia destinate a sedare le reazioni popolari, a renderle deboli e timide suggerendo il ritorno al tempo delle vacche grasse .
Per fare il punto della posizione mentre le onde cominciano ad alzarsi e il cielo a rivelare la linea di maltempo sull’orizzonte prenderò come base un noto quanto ignorato canovaccio futuribile, messo a punto tra il 1995 e i primi due anni del nuovo secolo, dal Global Scenario group, messo in piedi dall’Istituto Tellus di Stoccolma con una vasta collaborazione internazionale. Si tratta di una sorta di riassunto dinamico delle ricerche nel frattempo intraprese nei singoli campi e presenta tre ipotesi generali, ognuna nelle quali suddivisa in sotto scenari alcuni dei quali privi ormai di senso e altri che invece ci troviamo davanti agli occhi. Ma sia i sentieri interrotti che le strade recentemente aperte possono servire a capire qualcosa.
La prima ipotesi è quella della continuità o dei mondi convenzionali nel quale si suppone che i valori e le narrazioni a volte convergenti e a volte contrapposte, che hanno dominato l’ultimo ventennio del secolo scorso rimangano sostanzialmente intatte. La seconda, quella cui assistiamo in questo specifico periodo è invece quella della barbarizzazione, nella quale l’incapacità di affrontare i problemi, da quelli sociali a quelli climatici, crea una frattura portando alla scomparsa della democrazia e all’affermazione autoritaria di elite di comando, oltre che alla creazioni di invalicabili barriere di confine. La terza infine, chiamata grande transizione, congettura che le persone avvertano la necessità di cambiamento completo di paradigma attuale per evitare il degrado totale dell’ambiente comune e le guerre per le risorse, cercando in un nuovo periodo di socializzazione dopo l’individualismo selvaggio, il consumismo e la rapina senza remore della casa comune, ovvero del pianeta.
In realtà le tre ipotesi sono in parte collegate, ma in questa prima parte del
post, mi occuperò dello scenario dei mondi convenzionali, suddiviso in una parte che veniamo pienamente attiva e di un’altra invece chiaramente fuori gioco. La parte attiva nasce dalla supposizione che il mito del mercato e le relative prescrizioni politiche e sociali continuino ad essere dominanti e assieme ad esse anche il correlato della crescita infinita, nonostante la sua palese contraddittorietà con la disponibilità finita di risorse. Lo stress ambientale con tutte le sue conseguenze soprattutto per le popolazioni e i ceti più poveri e i problemi sociali vengono affidati semplicemente alla fede che l’innovazione tecnologica finisca per risolvere di volta in volta i problemi posti dalla scarsità delle risorse, dal loro utilizzo e dalle disuguaglianze senza alcun bisogno di rivolgersi a una diversa idea di società. E’ uno sviluppo poco credibile nel complesso, ma è quello che ci viene quotidianamente sottinteso, se non attivamente proposto attraverso la mitologia della crescita.La parte ormai fuorigioco riguarda invece la possibilità che si affermi l’idea che i problemi posti dalla cosiddetta modernità vengano risolti attraverso la politica, ossia con una stagione di riforme che avviino il cammino verso un’economia più sostenibile e impediscano le destabilizzazione sociale. In buona sostanza una delle ipotesi fatte a suo tempo dal global scenario è che ci sia un ritorno delle politiche socialdemocratiche, una strada che tuttavia si è dimostrata senza uscita presupponendo il perdurare di tratti della democrazia sostanziale attraverso i classici sistemi rappresentativi. In realtà gli ultimi quindici anni, a cominciare dall’aggressione ai diritti del lavoro, per continuare con l’introduzione di strumenti monetari in mano ad oligarchie finanziarie prive di qualsiasi contrappeso pubblico, per finire con la grottesca vicenda greca dimostrano una palese impossibilità: quella dell’autonomia politica nell’ambito delle regole del mito – mercato. Ogni riforma o cambiamento per quanto auspicabile sia, è divenuta di per sé impossibile o comunque in contrasto con il Leviatano che vuole pervadere ogni nicchia di attività umana, dalla salute alla scuola, dall’informazione alle elezioni, dai diritti al welfare. Pensare di poter imporre al deus ex machina, delle attenuazioni o delle aree franche alla sua azione è ormai del tutto fuori questione se non si scalza il mito stesso dal suo trono. Questo è stato possibile in un altro contesto, quello del capitalismo produttivo e in qualche modo anche difensivo, nel quale l’allargamento dell’area della domanda era in qualche modo favorevole alla produzione stessa e dunque al profitto. Ma con la globalizzazione e la dichiarata “fine della storia”, con la messa in campo di enormi eserciti di riserva in altri continenti, con l’esplodere della finanziarizzazione dell’economia, tutto questo è diventato un’illusione o un’ipocrisia.
Una strada in discesa verso la barbarizzazione che stiamo cominciando a toccare con mano e che sarà tema della seconda parte.