Scene di protesta sul tetto dell’ambasciata del Bahrein in Londra

Creato il 17 aprile 2012 da Tnepd
Oggi due giovani londinesi originari del Bahrein, nella loro disperazione sono saliti sul tetto dell’ambasciata del Bahrain in Londra, arrampicandosi – sembra – dall’esterno. Mentre scrivo, vedo uno di loro, Moussa Abd Ali, sventolare la bandiera del suo paese martoriato; mentre il compagno, Ali Mushaiema, mantiene i contatti con il mondo per mezzo del suo cellulare, seduto sul cornicione del tetto.

Infatti poche ore fa Ali Mushaiema parlava in diretta con la redazione di Press TV mentre andavano in onda le immagini dei due coraggiosi attivisti sul tetto dell’ambasciata.

Al momento la polizia metropolitana di Londra ha chiuso al traffico l’area di Belgrave Square su cui si affacciano anche le ambasciate della Germania e della Siria, oltre a quella del Bahrein. L’ambasciata del Bahrein per ora non risponde alle chiamate.

Il 4 aprile i due ragazzi erano entrati in sciopero della fame ed avevano iniziato un sit-in di fronte all’ambasciata USA in Londra, ma non avevano ricevuto attenzione alcuna. Ecco perciò la decisione di un gesto che avrebbe sicuramente provocato una reazione – perlomeno dei media.

Cosa chiedono i due ragazzi del Bahrein?

I lettori abituali di questo blog sicuramente ricorderanno i nostri rapporti sulla rivolta del Bahrein iniziata nel febbraio del 2011; la terribile repressione delle forze dell’ordine con grande spargimento di sangue; la distruzione dell’iconico monumento nella piazza centrale di Manama, simbolo della rivolta; l‘arrivo nel Bahrein delle forze di invasione dalla confinante Arabia Saudita e da altri stati del Golfo Persico, interpellati dal tiranno del Bahrein, il “re” Hamad al-Khalifa, l’attuale sovrano ed esponente di una dinastia di signorotti whahhabi di stampo oscurantista repressivo — in stridente contrasto con la filosofia umanistica dell’Islam — che nei secoli si sono imposti nella regione mediante scorribande violente, brigantaggio e pirateria.

Due secoli fa la corona colonialista britannica ha consegnato alla famiglia degli al-Khalifa lo scettro della “Perla del Golfo”, la bella isola del Bahrain, le cui acque sono ricche di perle di qualità eccelsa. Da allora gli al-Khalifa sono i sovrani fantoccio agli ordini del padrone britannico, ma in tempi più recenti soprattutto servi di USA e Israele — analogamente a tutti gli altri stati del Golfo Persico ad eccezione dell’Iran, che lotta coraggiosamente per mantenere la propria sovranità conquistata con grande coraggio mediante la rivoluzione islamica del 1979. Nei nostri reportage del 2011 raccontavamo degli ospedali della capitale Manama presi di assalto dalle forze di invasione per impedire al personale medico di curare i manifestanti feriti, mentre i medici e i chirurghi che si ribellavano ad un ordine tanto oltraggioso, venivano strappati ai feriti durante gli interventi salvavita, per poi essere brutalizzati, arrestati e in alcuni casi perfino fucilati sul posto, nel proto soccorso, dove la stessa sorte poi toccava ai feriti in cura.

A oltre un anno dall’inizio della rivoluzione, niente è stato risolto – anzi la piccola isola, di grande importanza strategica nell’area del Golfo, è precipitata nel caos. La popolazione non ha mai smesso di manifestare un solo giorno e il bilancio dei morti e feriti è terribile. Muoiono di morte violenta, i manifestanti, soffocati dal gas tossico sparato anche all’interno delle abitazioni, abbattuti dai mitra dei poliziotti bahreini e delle milizie saudite, schiacciati dalle jeep della polizia che investono di proposito a grande velocità gli uomini, le donne e i bambini che non riescono a fuggire in tempo. 

Il personale medico degli ospedali si trova in maggioranza nelle patrie galere, come gran parte degli esponenti della resistenza. Le testimonianze parlano di torture sistematiche, di stupri ai prigionieri, sia uomini che donne, di centinaia di condanne a vita e perfino esecuzioni. La 5a flotta della marina militare americana, da decenni di stanza nel porto della capitale Manama è passiva complice, non interviene, sta a guardare mentre l’orrore si manifesta sotto gli occhi indifferenti dei militari americani.

Tra i condannati all’ergastolo troviamo anche Abdulhadi al-Khawaja, direttore del centro per i Diritti Umani del Bahrein – un uomo di grande spessore umano, pluri-premiato e insignito della cittadinanza onoraria danese per il suo straordinario impegno sul fronte nazionale e internazionale della lotta per i diritti dell’uomo.

Un anno fa al-Khawaja veniva prelevato di notte in casa propria in seguito ad un raid violento che ha terrorizzato la numerosa famiglia, compresi anziani e bambini.  Per settimane, al-Khawaja era stato il quotidiano corrispondente per Press TV da Manama, raccontando via Skype in diretta gli orrori del regime e della repressione violenta ai danni dei cittadini che chiedevano condizioni di democrazia.

Anche le figlie di Abdulhadi, Myriam e Zainab al-Khawaja, sono attive nel Centro per i Diritti Umani del Bahrein, e fanno ora parte della resistenza, viaggiando nel mondo occidentale per informare sulle condizioni che affrontano i cittadini del Bahrein, manifestando in patria a fianco del popolo, come vere principesse della rivolta, spesso malmenate e arrestate, come mostra l’immagine in basso di Zainab, che in quell’occasione venne trascinata per i capelli, in manette, verso il van della polizia.

Da 65 giorni ormai, Abdulhadi al-Khawaja è in regime di sciopero della fame in protesta dell’«insulto alla dignità dell’uomo» per le torture e umiliazioni subite, rifiutando qualsiasi apporto di cibo. In realtà non è sicuro che sia ancora in vita. L’ultima volta che al suo avvocato è stata concessa la visita al proprio cliente risale a una decina di giorni fa. Già allora, al-Khawaja era allo stremo delle forze, non riusciva a parlare né a muoversi: era vicino al collasso cardio-circolatorio. 

Essendo al-Khawaja anche di nazionalità danese, l’ambasciatrice della Danimarca nel Bahrein da qualche tempo sta tentando — finora senza successo — di ottenere la consegna del prigioniero per il trasferimento su suolo danese.Il mondo viene tenuto totalmente all’oscuro di quanto succede nel Bahrain, mentre i media vomitano ogni giorno sui nostri schermi le versioni fraudolente delle violenze in Siria, provocate di proposito da gang terroriste e mercenarie al soldo del Mossad, della CIA, dei francesi, dei britannici, dell’Arabia Saudita, del Qatar e perfino della Turchia, che negli ultimi tempi ha operato un’improvvisa inversione di marcia, inspiegabile agli occhi dei politologi, alleandosi con l’impero sionista USraeliano — come viene chiamato dai lettori e autori nella blogosfera di lingua inglese — e pugnalando la Siria alle spalle.

Mentre al tiranno del Bahrein, che si vanta del suo ruolo di guardiano degli interessi occidentali e israeliani nella regione, vengono forniti i mezzi per reprimere la popolazione, al presidente siriano Assad viene ordinato di “cessare il fuoco”, che equivale a consegnare la popolazione alle violenze degli invasori stranieri, e il territorio della Siria a Israele. Poco si curano i presunti difensori del popolo siriano, che i cittadini sono dalla parte del loro leader.

La Siria è da tempo nel mirino di Israele, in quanto si oppone alle mire espansioniste del regime sionista. E’ ovvio: chi si ribella all’egemonia di Israele e agli interessi di USA viene spazzato via — come la Libia, ora lacerata dalla guerra civile. La Siria e l’Iran sono i prossimi sulla lista. Russia e Cina sono l’ambita preda finale.Per tornare ai notri due coraggiosi eroi sul tetto dell’ambasciata londinese del Bahrein: Ali Mushaiema e Moussa Abd-Ali.

Chiedono giustizia, i due ragazzi, chiedono che il mondo venga informato di quanto succede nel loro paese, chiedono che vengano liberati i prigionieri politici, il personale medico, gli attivisti della resistenza condannati al carcere a vita.

Chiedono che cessino le torture, gli stupri, le fucilazioni, le sparizioni degli attivisti, di cui le famiglie non ricevono più notizie, le morti dovute al gas tossico “made in USA”.

Chiedono la liberazione di Abdulhadi al-Khawaja e protestano perché il leader della resistenza, Hassan Mushaiema, figlio di Ali che siede disperato sul tetto dell’ambasciata, è in carcere e non riceve le cure per il cancro che lo consuma. Diceva poco fa Ali al telefono in collegamento con Press TV dal tetto dell’ambasciata: «Non mi muoverò di qui. Mio padre ha il diritto di essere curato. Il mio popolo ha il diritto di essere ascoltato. Il mio paese ha il diritto alla sovranità, alla democrazia, alla liberazione dal giogo di Israele e delle forze coloniali occidentali. Non mi farò catturare. Sono disposto a dare la vita per la libertà del mio paese». Per domenica prossima, 22 Aprile, è stata confermata la tappa del Gran Premio di Formula 1 nel Bahrein. Nonostante la forte pressione dietro le quinte per annullare la gara, il dittatore Hamad al-Khalifa ha dato l’OK per lo svolgimento della corsa.

L’intenzione è di ostentare una situazione di normalità nel Bahrein.

In Manama e altre parti dell’isola, per questa settimana è prevista una partecipazione massiccia alle proteste contro lo svolgimento della gara, che si terranno ogni giorno, fino alla domenica della gara.

Solo poche settimane fa, per il 1° anniversario della rivoluzione è scesa nelle strade la metà della popolazione del Bahrein. Immaginate: la metà dell’intera popolazione! Ma niente è stato trasmesso sugli schermi occidentali dai “farabutti dei media di massa”, come li chiama l’autore ebreo Stephen Lendman.Germania e Danimarca hanno annunciato l’intenzione di non trasmettere la gara nei rispettivi paesi.Ma anche altri paesi stanno valutando l’ipotesi del black-out mediatico della manifestazione sportiva.

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