Magazine Cinema
di: F.Schoendoerffer.
con: C.Berling, A.Dussolier, L.Schoendoerffer, P.Mottet, E.Navarre, E.Darlan.
Drammatico - FRA 2000 - 100 min
Il percorso di avvicinamento al Cinema di Frederic Schoendoerffer e' stato graduale, eppure "inevitabile". E ciò soprattutto per via della presenza del padre Pierre - corrispondente di guerra in Indocina, scrittore e autore di un film come "317eme section"/"317mo battaglione d'assalto" (1965), con J.Perrin e B.Cremer, solida e non agiografica opera bellica sui fatti di Dien Bien Phu - Frederic, dopo aver preso parte ad alcuni lavori del genitore ed aver filmato diversi cortometraggi, esordisce nel 2000 con questo "Scenes de crimes", "polar" con derive esistenziali, candidato ai Cesar come migliore opera prima. Quindi inanella una serie di titoli della cui eco dalle nostre parti non giunge che la pallida risonanza di "Agents secrets" (2004) interpretato dall'ex duo "glam" Bellucci/Cassel ma pure, per chi ha assecondato a dovere la propria curiosità, i quattro episodi co-diretti assieme a Olivier Marchal della serie transalpina "Braquo" con J-H Anglade.
Il primo dato che colpisce di "Scenes de crimes" e' la puntigliosità esercitata sulla messinscena: le attività investigative svolte dai due "flic" protagonisti Fabian/Berling e Gomez/Dussolier assimilano, infatti, in un insolito e perlopiu' riuscito connubio, la "detection" precisa, tecnica, densa di dettagli (anche aspri) della migliore tradizione americana e il substrato psicologico tipicamente europeo, caratterizzato in questo squarcio di contemporaneità e come vuole il più attuale racconto poliziesco, dallo slittamento progressivo del classico "mal de vivre" verso vere e proprie forme di disperazione introflessa, sovente con risvolti aggressivi e/o autodistruttivi (sono uomini questi che, tra l'altro, usano poco le pistole "in azione". Più facile, appunto, che siano tentati di rivolgerle contro se stessi). La ricognizione di Schoendoerffer nel genere tra i più amati d'oltralpe, dal passo a volte quasi documentaristico, si apre sulla misteriosa scomparsa di una ragazza nei dintorni agresti di Parigi, alla quale fanno seguito ritrovamenti di cadaveri mutilati che pian piano persuadono la Brigata Criminale che si occupa del caso ad indirizzarsi sul sentiero assai scivoloso dell'omicida seriale. Le indagini - difficili e dalle epifanie sempre più efferate - vanno ad innestarsi con altrettanta inesorabilità e traumaticamente sul vissuto privato dei poliziotti titolari dell'inchiesta, facendo emergere e confliggere tra loro problemi non risolti, contraddizioni mai affrontate a viso aperto, oscurità del carattere solo a malapena tenute a bada dall'impellenza del dovere e dalla cronica mancanza di tempo per se' e per gli affetti. Gomez (da sottolineare la prova di Dussolier, come tirato fuori di forza dal suo impeccabile aplomb borghese), travolto da disastri familiari e dall'alcool, non ce la farà; Fabian - tra una menzogna a se stesso e l'altra; un maniacale "barricarsi" dentro la vicenda e l'ennesima prostituta occasionale - andrà a modo suo fino in fondo, verso l'origine del Male.
Schoendoerffer segue da subito e molto da presso l'ingegnarsi dei due poliziotti, li scruta passo passo nel loro avanzare tra le evidenze degli atti di una psicologia malvagia, ci offre il loro punto di vista (non a caso la presenza di luoghi apparentemente "inerti" o fisicamente "ostili", come i dintorni di un'autostrada, le profondità mal illuminate e intricate di un bosco, riprende con esattezza la suggestione di base che lega l'estraneita ', l'imperturbabilita ' della sua logica, al Male), ma allo stesso tempo annota le ricadute sul piano emotivo di quella infausta prossimità, coordinando in una specie di contrappasso in sottotono - per certi versi ancor più inquietante dell'investigazione stessa - la capacita' di analisi e il rigore complessivo con cui si alimentano i progressi nelle ricerche e l'inesorabile disfacimento intimo e morale di coloro che sono chiamati ad avvalersene. Medesima corrispondenza si attua sul versante stilistico: tanto le immagini relative al dispiegarsi dell'azione poliziesca privilegiano - come detto - la prospettiva di chi le compie (quindi, sopralluoghi a piedi nelle aree dei ritrovamenti; visite al laboratorio di medicina legale; appostamenti et.), così l'imponderabilità di colui (l'assassino/il Male) che e' fuori scena proprio perché, in teoria, può colpire ovunque e in qualunque momento, e' spesso sottolineata da dolly improvvisi e incalzanti riprese aeree che sorprendono e straniano l'occhio di chi guarda. Non secondariamente, la scelta della luce ribadisce questa maliziosa antinomia i cui estremi, di frequente, si sovrappongono fin quasi a confondersi, accrescendo un già insistente senso di disagio. Ecco allora, da un lato, le penombre - se non, addirittura, il prevalere dell'oscurita ' - nelle campagne al tramonto, in certi interni. E le atmosfere plumbee, gl'incarnati a volte terrei dei protagonisti. Dall'altro - in specie nella parte finale, ambientata nel sud della Francia - quando il cerchio si stringe, i cieli chiari, un po' opachi; i pomeriggi lunghi con un sole pigro e beffardo stagliato su un orizzonte che pare vantarsi della sua inamovibilità (come se al Male, vincente e indifferente alla propria stessa sorte, bastasse solo rilassarsi per pervadere tutto, senza sforzo, senza opposizione).
Proprio l'ultimo terzo del film - nonostante il suo indubbio fascino visivo - e' quello che più stride con l'insieme dell'opera e il suo equilibrio interno, ottenuto in virtù di uno svolgimento magari un tanto meccanico ma senza una sbavatura. E ciò non tanto per lo scarto ancor più "esistenziale", quasi metafisico, impresso alla storia; bensì, più prosaicamente, per il fatto di essere introdotto per il tramite di alcune forzature narrative e di minime ma chiare incongruenze. Come che sia, al netto dei limiti che zavorrano quasi ogni opera prima, i meriti del lavoro di Shoendoerffer superano di alcune incollature le pecche e gli riservano un posto tutto suo al sole ai tempi appena sorto del "neo polar".
TFK
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