La vicenda dell’abbattimento del jet russo sui cieli siriani ha complicato di molto le relazioni diplomatiche tra Mosca ed Ankara. Quest’ultima avrà valutato senz’altro le conseguenze del suo gesto, già in fase preparativa (perché di atto premeditato e concordato con la Nato si è trattato) ma ha deciso comunque di assumersene i rischi.
La Turchia sapeva di mettere a repentaglio i suoi scambi commerciali con il gigante dell’Est ma ha collocato i suoi diretti interessi strategico-politici al di sopra degli affari con Mosca, che pure abbracciano settori decisivi come quelli energetici.
La rappresaglia russa è stata insomma calcolata da Erdogan e soci ed è puntualmente arrivata sotto forma di sanzioni che però, al momento, non hanno sortito alcun ripensamento nell’establishment della mezzaluna. I russi, prima di passare ai fatti, hanno chiesto alla Turchia la presentazione di scuse formali, la compensazione dei danni e la punizione dei colpevoli. Non hanno ottenuto nulla di tutto ciò. Il Presidente Putin si è, inoltre, negato al telefono quando il suo omologo turco ha provato a contattarlo per fornire la sua versione dell’ “incidente” e convincerlo ad accettare un bilaterale a margine della conferenza di Parigi sul clima. Possiamo ipotizzare che la reazione russa all’affronto ricevuto sia stata così decisa in virtù dell’esistenza di un accordo segreto tra i due Stati, orientato proprio a non pestarsi i piedi durante le rispettive operazioni in Siria. Terzi incomodi molto potenti si sono però messi di traverso offrendo ai turchi favori che non si possono rifiutare a scapito dei patti con Mosca. Non è difficile capire di chi si stia parlando. Per questo Putin ha parlato di coltellata alla schiena, affermazione che assume un senso, non essendo propriamente la Turchia né un alleato né un amico di cui fidarsi, solo in questo specifico quadro di impegni non formalizzati eppure assunti. Da qui in poi c’è stata una escalation di accuse e controaccuse tra le due parti in causa.
Il Cremlino ha denunciato i traffici petroliferi tra Isis e Turchia che coinvolgerebbero direttamente anche il figlio di Erdogan. Quest’ultimo, invece, ha prima stigmatizzato il ruolo dell’esercito di Mosca al fianco del “macellaio” Assad, a suo dire colpevole dell’uccisione di 380 mila persone dall’inizio del conflitto civile e, poi, ha replicato direttamente a Putin in questi termini: “«È immorale accusare la Turchia di comprare il petrolio dall’Is. Se ci sono i documenti devono mostrarli, vediamoli. Se questo viene dimostrato, io non rimarrò nel mio incarico. E lo dico a Putin: lui manterrà il suo incarico?». Chiaramente non esistono bolle di accompagnamento per i traffici illeciti, Erdogan lo sa bene, ma il nervosismo turco è aumentato quando Mosca ha iniziato a bombardare le raffinerie del Califfato.Gli introiti provenienti dall’oro nero di Daesh ammontano a circa 2 milioni di dollari al giorno. Secondo alcune fonti i barili di greggio estratti nel territorio controllato dall’Is attraverserebbero le stesse frontiere turche dalle quali passano anche i miliziani islamici che hanno messo a ferro e fuoco la Siria in questi anni. Se queste non sono prove per lo meno ci si avvicinano molto, con o senza fatture a sostegno. A proposito del ruolo dell’Is e dei suoi miliziani nello scenario del Siraq credo che le cose più intelligenti siano state dette da Gianfranco La Grassa. Il pensatore veneto ha sostenuto che
“l’islamismo radicale vive, e al momento quasi prospera, per l’aiuto di paesi amici degli Usa; e questi ultimi, in definitiva, sono i principali mandanti di detto movimento. Desidero essere più preciso. Sono convinto che solo un ristrettissimo gruppo dirigente dell’Isis sa come effettivamente stanno le cose, sa quali sono i loro veri aiutanti, finanziatori, fornitori d’armi, ecc. La maggioranza del movimento sarà sicuramente all’oscuro e crederà d’essere veramente sulla cresta dell’onda, di poter sfidare quasi alla pari i “nemici” (che sono tanti: i cristiani, e anche gli sciiti, ecc.). Di conseguenza, tale parte dell’organizzazione si sentirà in piena autonomia nel decidere gli atti bellici da condurre “sul campo” nonché quelli terroristici da effettuare in altre aree (soprattutto l’europea); e coloro che li appoggiano e finanziano debbono accettare una serie di azioni null’affatto ordinate né accolte con soddisfazione.
Tuttavia, anche tali azioni sono in definitiva utili ai mandanti, poiché consentono loro di ergersi a difensori degli aggrediti usando metodi violenti (bombardamenti e quant’altro), che tuttavia saranno condotti con opportuna gradualità e cautela almeno fin quando l’Isis risulterà utile alle loro intenzioni strategiche. Per gli Usa si tratta soprattutto di tenere sotto controllo i paesi europei, impedire il sorgere di possibili forze di governo che allentino la presa americana e guardino con qualche favore verso est, verso la Russia in particolare; che sarà pur essa cauta nelle sue prese di posizione e non spingerà il piede sull’acceleratore per rapporti stretti verso tali paesi.”
Da <http://www.conflittiestrategie.it/si-rischia-di-meno-di-glg>
Lo Stato Islamico è in sostanza uno strumento manovrato dagli Stati Uniti per scoraggiare chicchessia dal mettere becco in una regione appartenente alla loro sfera egemonica, considerata di una certa importanza per tirare i fili del discorso geopolitico mondiale in questa nuova fase storica. Per consentire la concretizzazione di questo disegno gli yankees distribuiscono benefici a chi si schiera con loro ma anche rischi. La Francia ne sa qualcosa e la Russia anche di più, dato che essa è competitore prima che partner degli Occidentali.