Finalmente la questo vino; così mi pare di poter descrivere la DOP Valdadige: un bel colore rosato intenso, un rosa antico e luminoso, un naso fresco con sentori di fruttini rossi appena , quasi innocente; pur senza velleità si fa portatore di un beva completa e avviluppante, con un buon equilibrio acido, che lo preserva da certe amarezze finali che a volte allontanano da questi vini. Insomma, mi piace. E poi ne puoi bere a volontà, si fa per dire, perché ha un tenere alcolico di Schiava è arrivata . Dopo avergliela chiesta, ieri uno dei miei spacciatori preferiti me l'ha fatta trovare: a Schiava Valdadige DOP - Cantina Mori Colli Zugna. Da un po' di tempo mi sono appassionato croccante , di una fragrante freschezza giovanile accennati. In bocca è 11,5 gradi. Insomma, gliela si può fare anche a finire la bottiglia.
Nacque a La Fratta nella seconda metà del XIII secolo, oggi nel comune di Sinalunga (SI). Figlio del conte ghibellino Tacco di Ugolino e di una Tolomei e fratello di Turino, era un rampollo della nobile famiglia Cacciaconti Monacheschi Pecorai, e insieme con il padre, il fratello e uno zio commetteva furti e rapine, nonostante la caccia che gli veniva data dalla Repubblica di Siena. Una volta catturati, i membri maggiorenni della banda vennero giustiziati nella Piazza del Campo di Siena, mentre Ghino e il fratello si salvarono grazie alla loro minore età. Rifugiatosi a Radicofani (SI), una rocca sulla Via Cassia, al confine tra la Repubblica di Siena e lo Stato Pontificio, Ghino continuò la sua carriera di bandito, ma in forma di "gentiluomo", lasciando ai malcapitati sempre qualcosa di cui vivere. Boccaccio, infatti, lo dipinge come brigante buono nel suo Decameron parlando del sequestro dell'abate di Cluny, nella II novella del X giorno: Ghino di Tacco piglia l'abate di Clignì e medicalo del male dello stomaco e poi il lascia quale, tornato in corte di Roma, lui riconcilia con Bonifazio papa e fallo friere dello Spedale. Dante, invece, gli concede un posto tra i personaggi citati nel sesto canto del Purgatorio della sua Divina Commedia, quando parla del giurista Benincasa da Laterina (l'Aretin), giureconsulto a Bologna, poi giudice del podestà di Siena, ucciso da un fiero Ghino di Tacco.