Il laboratorio inaugurale della Tre giorni del Sangiovese di Predappio si apre con un Francesco Falcone lieto di presentarci Peter Dipoli, non tanto in veste di produttore ma come esperto conoscitore del panorama altoatesino, chiamato a raccontarci qualcosa di un vino capace di stare a tavola, non come protagonista sopra le righe ma come gioviale compagno. Si parla della Schiava, vitigno eclettico e da merenda, definibile come un bianco vestito da rosso, per la freschezza dei profumi e la fragranza della sua beva, dove frutto e fiore sono gli elementi dominanti, e il tannino un sottile ricordo, un fine ricamo in una veste morbida e leggiadra.
Questa volta Dipoli non è chiamato a raccontare del suo grande Voglar, un sauvignon blanc incisivo e di grande vita, ma in qualità di “senatore” della sua regione, come fine conoscitore del territorio, dei suoi vitigni e del lavoro dei suoi colleghi, con cui è avvezzo a confrontarsi.
L’Alto Adige è una zona storica della produzione viticola nazionale, già nel medioevo in mano alla Chiesa che diffondeva e difendeva il patrimonio enologico, ebbe il suo massimo fiorire sotto l’Impero Asburgico, che proprio da qui importava vino rosso, prodotto assai raro in Austria e Germania, e sancì la nascita delle cantine sociali. E proprio la Schiava era la principessa indiscussa del territorio, cui si aggiungevano talora anche marzemino e negrara. Fu nel 1874 con l’Istituto di San Michele e l’impero asburgico che arrivarono i vitigni nordici (riesling , sylvaner, gewurztraminer, pinot bianco, ecc.) saliti alla ribalta dei mercati però solo negli ultimi 30 anni, mentre prima confluivano in maggioranza in solo vino di consumo. E’ nei primi anni ’80 che muove una sorta di rivoluzione volta a fare qualità, che ha segnato la conversione di molti vigneti a vitigni considerati più “nobili”, spinti anche da una crescente domanda di mercato. Una richiesta che per mantenere alto il livello medio è calmierata con limiti alle superfici vitabili, oggi stabile sui 5000 ha, fermato anche dalla ottima redditività dei frutteti, che occupano la pianura, lasciando ai vigneti le migliori esposizioni in collina.
In Alto Adige attualmente le cooperative controllano circa il 75 percento della produzione, i produttori/commercianti (che acquistano uve e/o vino) il 20 percento mentre solo il 5 percento residuo è in mano a vignaioli, quelli che in Francia si chiamerebbero recultant-manipulant.
Fronte storico del vino altoatesino è Santa Maddalena, zona che vanta circa un secolo di storia, da quando i tanti vignaioli vinificavano e vendevano (sfuso) soprattutto in Svizzera, fino agli anni ’80, quando alcuni hanno deciso di imbottigliare, altri di vendere le uve alle cantine cooperative. Da registrare anche un primato per il Consorzio del Santa Maddalena, tra i più antichi, nato nel 1923.
Lo scenario fino a 40 anni fa vedeva una produzione al 70% indirizzata sui vini rossi, in prevalenza schiava, mentre oggi si attesta al 42% sul rosso, di cui solo un 16% sul totale è schiava, spesso sostituita da più rischiesti vitigni internazionali (pinot nero su tutti).
La Schiava, per lo più presente nella varietà schiava gentile e schiava grossa, è un vitigno con buccia fine, utilizzata anche come uva da tavola, capace di alta produzione, sui 150-180 quintali ad ettaro, che è ideale contenere attorno ai 120, senza spingersi oltre per non perdere il fascino della sua intrinseca eleganza.
E’ purtroppo un vitigno difficile da coltivare, faticoso e poco remunerativo, che predilige gli impianti a pergola (più costoso di un guyot o di un cordone nella gestione) e si mostra sensibile ad oidio, e anche peronospora, anche in virtù della sua fine cuticola. Oggi per questi motivi si fatica a salvarla, perché spesso i produttori sono allettati dalle migliori retribuzioni offerte da altre uve, ma si rischia di perdere ungrande patrimonio, fatto di vigneti molto vecchi, specie in zona Santa Maddalena, perfettamente adattati ai terreni morenici della zona.
Oggi restano circa 800 ettari in tutto vitati a Schiava, che suddivide si può trovare sotto 4 denominazioni: lago di Caldaro (Kaltersee), Santa Maddalena (200 ha), Schiava meranese e A.A. Schiava (Vernatsch), una sorta di denominazione jolly, dove confluiscono terreni in zone non storiche e anche uve per ricaduta dalle altre menzioni DOC.
Kaltersee rappresenta un bacino storico, in particolare nella zona classica, anche se il disciplinare ha poi allargato le maglie, ma le bottiglie selezionate per l’assaggio provengono dal cuore, nei cru meglio esposti affacciati sul bacino di Caldaro.
Tra le cause del relativo abbandono della schiava Peter Dipoli indica anche la mancanza di piccoli produttori, situazione che lascia il pallino del gioco in mano alle grandi cantine, che difficilmente vanno a ricercare la valorizzazione dei cru, sistema che permetterebbe di salvaguardare le zone di maggiore pregio, e che oggi sta lentamente avvenendo, grazie alle esperienze maturate in oltre 30 anni di vinificazioni votate a concetti di qualità, che hanno permesso di catalogare e sondare le potenzialità dei territori e dei vigneti dei conferitori.
Queste le bottiglie messe in campo:
Markus Prackwieser – Gumphof – A.A. Vernatsch – Mediaevum 2014. Il colore è tipico dell’annata, rosso purpureo trasparente più scuro e carico per via della maggiore acidità, frutto dell’annata fresca. Al naso si avverte la nota alcolica a trascinarsi ricordi di fiore di geranio, ciliegia, pepe e oliva verde. La bocca appare calda, piena e molto rotonda, con un finale che accenna alla pietra e si sporca di un finale appena crudo, coerente con le condizioni dell’annata che ha portato a vendemmie anticipate per problemi di drosophila e mosca suzuki, che avrebbero compromesso intere produzioni se lasciate in pianta troppo a lungo. Ci appuntiamo questo piccolo produttore, che ci raccontano sappia plasmare un ottimo pinot bianco e un raro pinot nero. 82
Erste+Neue – A.A. Lago di Caldaro – Leuchtenburg 2014. Toni poco più chiari nelle tinte cromatiche di fine porpora, e naso più delineato, con ciliegia e mirtillo, menta, glicine, pepe ed humus. Più teso e fresco l’ingresso al palato, più ruvido e verde nel finale, dove perde un po’ di frutto e vira su ricordi di mandorla amara, ma tra qualche mese potrebbe mostrare la sua migliore armonia. Leuchtenburg è un rudere posto su un colle affacciato sul lago, dove in realtà non ci sono vigne, e l’etichetta rappresenta la versione più tradizionale della schiava secondo la cantina Erste+Neue, che producono anche una selezione, più ambiziosa ed elaborata. 85
Cantina Cortaccia – A.A. Grauvernatsch Sonntaler 2013. La Kellerei Kurtatsch sorge nel 1900, e da allora continua a rappresentare molto bene l’espressione della schiava, in questo caso proveniente dai terreni a sud di Caldaro, nella media fascia collinare tra Termeno e Cortaccia. Il suo colore è chiaro e trasparente, paragonabile ai rosati più carichi, e il profilo olfattivo è quasi da bianco, ben dipinto con pennellate di fiore di arancia, mandarino e lavanda, e una vena di fragolina. Anche in bocca sembra un bianco, caldo, morbido, floreale nel ritorno, lungo ed elegante, trascina il palato su note di rosmarino e fiori di glicine. In etichetta è chiamata Grauvernatsch che significa Schiava grigia ma si tratta di una varietà molto rara, spesso mischiata con cloni più comuni. 89
Cantina Girlan – A.A. Vernatsch – Fass N9 2013. La realtà storica di Cornaiano (attiva dal 1923, oggi con 200 soci e 223 ha) mette in campo la sua selezione di Schiava, un tempo ricavata dalla botte (fass) N°9, che si rivelava la più performante delle altre in cantina a parità di vino immesso, ma che oggi in verità vede una selezione delle uve che vanno poi a riempire una decina di differenti botti (grandi). A Cornaiano si hanno raccolte più tardive, perché i terreni sono attorno ai 400 metri di quota, l’area è meno calda, su un plateau riparato ma più influenzato dalle correnti dei monti, mentre Caldaro è in una conca mitigata dal lago e con prevalenti esposizioni verso sud. Il colore ricalca il motivo del precedente calice, mentre il profilo muta, e ha ricordi di caramella di ciliegia e yogurt di fragola, orzo e miele di castagno, con lievi speziature pepate. Il palato è rinfrescato da una tensione che sa di gioventù, con un tannino che fa sentire la sua presenza discreta, e un finale ricco tra agrume amaro, mirtillo rosso e pepe bianco. 89
Martin Spornberger – Kandlerhof – A.A. Santa Maddalena Classico 2013. Parliamo in questo caso di un maso chiuso, di proprietà familiare da oltre 200 anni, con soli 2 ettari a vigna, che produce questo Santa Maddalena, dove il Lagrein ha un ruolo del tutto marginale (è concesso fino al 15% sul totale ma qui le quote sono minime). Seppure marginale il lagrein lascia la sua impronta su un colore appena più rubino e per note di pepe al naso, quasi vinoso e generoso su frutto maturo di prugne e ciliege e ricordi di humus e pietra. All’assaggio il suo tannino è dolce ed il finale salato, piuttosto lungo, con buona spezia di cannella, e un misto di mandorla dolce e ciliegia. Pieno e ben definito, riempie il palato e invita alla merenda. 88
Georg Ramoser – Untermoserhof – A.A. Santa Maddalena Classico 2013. I toni di colore seguono la scala del precedente, ma al naso è invece più appannato, con una riduzione che lo comprime, tra ricordi di pepe e alga, con l’alcol a sbuffare un po’ sopra le righe, così come al palato, dove accorcia un po’ il finale di una bocca dove si ritrovano note di caffè e ciliegia scura, con una chiusura scura e amarognola. 81
Tenuta Manincor – Lago di Caldaro Classico Superiore – Keil 2013. Keil è il nome di una vigna citata già nel 1600, da poco tempo acquistata da Manincor, che in precedenza l’aveva in affitto; significa angolo e conta circa 2 ha di superficie, condotta in biodinamica dal 2009. Mostra toni davvero da cerasuolo, di rubino chiaro trasparentissimo, con profumi dolci, di frutto rosso di fragola e gelatina di ciliegia, con fresche note di menta e liquirizia, fino a sembrare quasi un pinot nero, con un cenno pepato e note speziate. Bocca, sottile, elegante, dal finale agrumato di lime, con un tono boisé fine ed integrato, con ricordi di noce. Gran bella dinamica gustativa, a coronare un quadro più complesso, che inquadra la schiava in uno stile più moderno, dove sembra fare capolino anche un apporto del legno, nel caso sapientemente modulato. 90
Weingut Thomas Pichler – Lago di Caldaro Scelto Classico Superiore – Olte Reben 2013. Circa 1.5 ha di vigna danno origine a questa schiava, da zone meno nobili, piantate a vigneto solo da una cinquantina d’anni. Il colore è scarichissimo ed evanescente, tutto riflessi di luce rossa, e al naso punta pulito e deciso su note di ciliegia e mirtilli, mela matura e cotogna, mentre mancano pepe e spezie. Al gusto si mantiene molto sottile, senza tannino ma ricco di sale, di trama soffice e vellutata, semplice e tenue, ma al contempo piuttosto lungo, tale da appagare e regalare una bevuta davvero raffinata e delicata. 87+
Castel Salleg – A.A. Lago di Caldaro Scelto Classico – Bischofsleiten 2013. Proprietà nobiliare di 20 ha totali, di proprietà della famiglia che “inventò” il moscato rosa. Bischofsleiten letteralmente si traduce in vigna del vescovo, in quanto il possedimento apparteneva al porporato della diocesi di Trento, che detenevano gli appezzamenti nelle zone più vocate. Si tratta di una sorta di grand cru della schiava, nonostante siano nel tempo cambiati i cloni, sostituiti nel tempo con le selezioni più moderne di schiava grossa e media. Il ventaglio olfattivo dà ragione alle supposizioni storiche, con ampia complessità di sentori, dall’artemisia, al frutto scuro, dal fiore rosso alle spezie, alle resine balsamiche. Il palato è nitido, sottile, con cenni di pepe verde, si dilunga succoso, resinoso e balsamico, accompagnato da tannino fine, con ritorni aromatici di miele di bosco e timo. Ammicca alla Borgogna, ma qui si usa solo legno grande, con botti di 70 anni non tostate. 90+
Cantina Girlan – A.A. Vernatsch – Fass Nr.9 2007. Andiamo indietro nel tempo fino alla calda annata ’07, scoprendone il colore più evoluto, leggermente mattonato ai bordi, e il naso si connota di sensazioni nuove, dalla china alla confettura di ciliegia, dal pino mugo alle spezie di pepe nero e chiodi di garofano. L’assaggio è avvolgente e pieno, con spezie in evidenza, frutto di mirtillo nero, sottobosco e catrame, con sensazioni dolce-amara di miele di castagno. Il calore si mischia alla buona tensione acida, a braccetto lungo il sentiero che conduce a un finale salto, compatto, al ricordo di mandorla dolce, scevro da note amaricanti e per questo godibilissimo. 90+
Georg Ramoser – A.A. Santa Maddalena Classico – Untermoserhof 1995. Un salto ci porta a 20 anni fa, in un millesimo più tardivo, segnato da lente maturazioni. Al naso sorprende con la sua viva intensità, fatta di note eteree ed evolutive, di foglie secche, ginepro e affumicatura, con frutta stramatura e pomodorini confit in evidenza. E al palato continua lo stupore, sferzati da una boccata fresca, con tensione e nervo, che lascia lunghi ricordi di pomodoro secco, origano, mango e un ritorno balsamico di propoli, dal sapore affumicato nobile infinito. 92+
L’etichetta era praticamente illeggibile, il quantitativo tale da concederci un breve assaggio, da una bottiglia cimelio stappata oltre una settimana prima. L’etichetta recitava Brigl Joseph, Schiava 1978. Una testimonianza ancora una volta stupefacente di come le migliori vigne possano regalare vini quasi immortali. Tante spezie, ricordano i tradizionali passatelli romagnoli, con noce moscata e scorze di limone, un tocco di pepe e sfumature di incenso. Tutta l’evoluzione del mondo, positiva, che lascia ancora il pregio dell’eleganza a un palato un po’ sfibrato dall’aria, ma testimone di un vino che sa raccontare ancora come una ottima base si trascini le sue qualità negli anni.
Una bella esperienza quella di ascoltare Peter Dipoli e Francesco Falcone raccontarci di storia e caratteristiche di un vino che fa della sua essenzialità il suo punto di forza, e spero in molti continuino ad apprezzare l’eleganza della Schiava, col suo essere gradevole senza diventare banale, e capace di regalare simpatiche sorprese con l’avanzare degli anni sulle spalle. E spero non si perda la sua coltivazione, ma piuttosto si valorizzino i vigneti storici, per non perdere perle uniche e insostituibili del nostro patrimonio enoico.
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