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Bruno e Luca sono costretti ad una convivenza ravvicinata. Lui è un uomo disilluso che ha smesso di insegnare ed ora fà il ghost writer di autobiografie di personaggi dello spettacolo, l'altro uno studente di liceo un pò svogliato e con la fissa della box. Inizialmente ciò che li unisce è la simpatia di chi riconosce nell'altro una persona fuori dagli schemi, successivamente la scoperta di essere padre e figlio. Francesco Bruni esordisce con una storia che in parte riprende luoghi già affrontati come sceneggiatore dei film di Daniele Virzì: Roma innanzitutto, indagata nella sua dimensione gergale e giovanile (Caterina và in città) e poi il senso di sconfitta sparso a piene mani tra i personaggi della storia (N- Io e Napoleone) e della finzione, ed anche una certa contrapposizione tra cultura alta e bassa, qui raffigurata dalla figura dell'attempato protagonista alle prese con un mondo che può fare a meno dei libri e delle scuole, come quello di Tina, la pornostar di cui Bruno si sta occupando, felicemente di successo per ragioni diametralmente opposte.
Diviso in un prima e dopo generato dalla scoperta del legame famigliare, Scialla è un film sull'importanza dei valori familiari, inizialmente negati dalla deriva esistenziale di Bruno, refrettario a qualsiasi contatto che non sia giustificato da motivi mercantili (le svogliate ripetizioni rifilate a studenti poco interessati) e poi ribaditi dal risveglio affettivo e dalla vigoria fisica con cui lo stesso inizierà ad occuparsi dell'istruzione del figlio. Motivi che Bruni traduce con una velata malinconia che si stempera in momenti di lirismo metropolitano, come quelli in cui la telecamera segue gli spostamenti cittadini dei protagonisti in sella al motociclo (Moretti docet), oppure in una serie di situazioni, tra l'ironico ed il divertente, come quelle relative alle conversazioni tecniche in cui la pornostar spiega allo scrittore i segreti del mestiere, oppure agli sfottò tra il professore ed padroni del bar da lui frequentato. Il rischio è quello di ridurre il mondo ad un aneddoto, cosa che a volte succede (i siparietti con il bidello che non perde occasione di ricordare a Luca l'esatta definizione del suo lavoro, oppure il boss a cui Luca ruba la droga che obbliga i suoi scagnozzi a serate da cineforum con la visione di film come "I 400 colpi"); di fare un apologia su una generazione, quella sessantottina, rappresentata da Bruno, colpevole di non saputo dare seguito ai propri ideali, ma comunque da salvare per averci almeno creduto. Peccati veniali riscattati ampiamente da un umanita profusa a piene mani nel personaggio di Bruno, a cui Bentivoglio dona un amabilità sgualcita ma assolutamente sincera, interamente risolta da una recitazione che negli ultimi film stava diventando un cliche e che qui invece si riscalda con il fuoco della vita. Non gli è da meno l'esordiente Scicchitano, l'altro esordiente del film.
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