Sciamani messicani e samurai giapponesi… A prima vista sarebbero davvero pochi, forzati e forzosi i punti di contatto fra due realtà così lontane e diverse fra loro.
Ma, come spesso accade, nella vita, sotto la superficie le cose stanno ben diversamente, ed è tutt’altro che impossibile tracciare un fil rouge che le unisca. L’idea di base nasce da una riflessione attorno all’opera di Carlos Castaneda e Yamamoto Tsunetomo.
Gli insegnamenti del “nagual” (guerriero-sciamano) don Juan Matus, una via Yaqui alla conoscenza, raccolti ed elaborati da Castaneda nelle sue pubblicazioni, hanno infatti moltissimo in comune con l’Hagakure kikigaki (letteralmente: Annotazioni su cose udite all’ombra delle foglie), l’opera esoterica di Tsunetomo, che trasmette l’antica saggezza dei samurai sotto forma di brevi aforismi, dai quali emerge lo spirito del Bushidō (la Via del Guerriero).
In estrema sintesi il nucleo di entrambe le opere, e di entrambi gli “assetti cognitivi” (gli sciamani Yaqui e i samurai del Giappone feudale), sta nel senso psicologico dell’eliminazione dell’io. Questa padronanza governa profondamente la percezione della realtà, ed è quindi intimamente coinvolta nei processi di azione/reazione, causa/effetto, libero arbitrio e responsabilità sociale.
Entrambi gli autori non fanno altro che descrivere, suggerire, raccontare metodologie, tecniche, principi tramite i quali è possibile giungere a questa condizione, che non è nient’altro che l’essenza del guerriero. Secondo Castaneda, o meglio, secondo il suo maestro don Juan Matus, gli antichi stregoni messicani, per ottenere questo cambiamento interiore ricorrevano a varie tecniche.
Yukio Mishima
Si tratta sostanzialmente di atteggiamenti comportamentali e condotte morali volte a fermare il dialogo interiore, ottenendo il silenzio necessario a vedere la realtà con chiarezza e lucidità. Il guerriero anela al vuoto, una tabula rasa interiore che ribadisce come, citando Musashi (ultimo capitolo del Go-rin-no-sho), solo attraverso la mente vuota, è possibile trovare la Via. (“Sono venuto nel luogo del nulla, dove ogni ricordo è cancellato.” Yukio Mishima, Lo specchio degli inganni ).
Il punto d’unione, da loro descritto, è la contemporanea e piena realizzazione di pensiero e azione, che nell’Hagakureè espresso come “completa sincerità” (誠; 信): quando un samurai esprime l’intenzione di compiere un’azione, questa è praticamente già compiuta, nulla gli impedirà di portare a termine l’intenzione espressa. Parlare e agire sono la medesima cosa.
Vi è un solo giudice dell’onore del samurai: lui stesso. Le decisioni che prende e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che. Non ci si può nasconde da se stessi. In questo senso la realizzazione dell’intento è la manifestazione stessa di principi come la “cancellazione della propria storia personale”, per essere inaccessibili.
Carlos Castaneda
Il lento e duro apprendistato indispensabile, in entrambi i sistemi di pensiero, per approdare a questo stato di coscienza superiore, attraversa necessariamente l’idea della Morte, come compagna di vita e consigliera, permettendo al guerriero di elevarsi al di sopra delle masse che hanno paura di agire (“L’essenza del Bushidō è prepararsi alla morte, mattina e sera, in ogni momento della giornata. Quando un samurai è sempre pronto a morire padroneggia la via”, Yamamoto Tsunetomo, Hagakure).
Un samurai deve possedere un eroico coraggio, ciò è assolutamente rischioso e pericoloso, ciò significa vivere in modo completo, pieno, meraviglioso. L’eroico coraggio non è cieco, ma intelligente e forte (勇). Non c’è alcuno spazio o margine per l’auto commiserazione, l’auto indulgenza e la coltivazione delle proprie debolezze interiori, viste solamente alibi per giustificare l’errore, il fallimento, le varie battute d’arresto che costellano il percorso della vita.
Lungi da essere mere filosofie dell’azione, o peggio, banali manuali esoterici marziali, gli scritti di Castaneda e Tsunetomo (al quale è debito aggiungere il commentaire di Mishima) illuminano un percorso di ricerca e realizzazione personale solo in apparenza individualistico e spietato. In realtà gli antichi sciamani messicani e i samurai feudali erano entrambe classi sociali al servizio delle loro comunità, nelle quali e per le quali rivestivano un ruolo fondamentale (仁; 礼: il samurai acquisisce un potere che deve essere utilizzato per il bene comune, coglie ogni opportunità di essere d’aiuto ai propri simili. Senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale).
Da qui l’adozione e la ricerca dell’essenzialità, della frugalità, una riduzione ai minimi termini del giogo del mondo, inteso come luogo di confusione e perdizione del proprio sentiero. La via del guerriero è una strada che si percorre da soli, che conduce all’incontro, il più profondo e trasparente possibile, con la conoscenza, una visione/percezione di se stessi e della realtà che tutto include e tutto comprende (“Si possono conoscere diecimila cose a partire dalla conoscenza profonda di una sola cosa”, Miyamoto Musashi, Go-rin-no-sho).
Yamamoto Tsunetomo
Mistica, filosofia, etica personale s’intrecciano indissolubilmente in opere evocative ed immaginifiche, ricche di simboli, metafore ed allegorie, spesso di difficile interpretazione, che, proprio come un Kōan, permettono di risvegliare la mente, una volta abbandonati i comuni percorsi di pensiero (“Per me esiste solo il cammino lungo sentieri che hanno un cuore, lungo qualsiasi sentiero che abbia un cuore. Lungo questo io cammino e la sola prova che conta è attraversarlo in tutta la sua lunghezza. E qui io cammino guardando, guardando senza fiato”, Carlos Castaneda, A scuola dallo stregone).
Giungere e vivere in una realtà separata necessita integrità, e una forza interiore incrollabile. In questi sistemi cognitivi (ai quali si possono tranquillamente aggiungere quelli dei nativi americani, dei druidi celtici, degli Inuit e dei mistici polinesiani) si vive nel momento presente, e il passato, così come il futuro, non sono che vari livelli di insignificanti concetti, che minano la strada verso la libertà, l’incontro con la “totalità di se stessi”, ossia la piena percezione e dominio delle attenzioni: il proprio potere interiore.
L’ovvia conclusione di questo flusso di pensiero, che risolve e definisce quantomeno l’argomento sovraordinato a tutte queste (confuse) considerazioni, non può che essere la seguente:
«Una speciale tradizione esterna alle scritture (教外別傳)
Non dipendente dalle parole e dalle lettere (不立文字)
Che punta direttamente alla mente-cuore dell’uomo (直指人心)
Che vede dentro la propria natura e raggiunge l’illuminazione (見性成佛)»
(Quattro sacri versi di Bodhidharma, 達磨四聖句)