In un festival come Science + Fiction, che nel corso degli anni si è aperto alle più svariate ibridazioni e contaminazioni dell’immaginario fantastico, fa piacere imbattersi ancora in qualcosa esempio di fantascienza pura, quella cioè che si propone di affrescare scenari avveniristici e mutamenti di rilevo nell’esistenza umana. Il discorso per noi vale anche quando è la dimensione spettacolare a essere messa in primo piano, insieme a quelle esigenze narrative e di messa in scena riscontrabili in qualsiasi action movie. Con un lungometraggio ansiogeno, cupo e incalzante come The Colony, l’impatto emotivo è stato più o meno di questo tipo.
Quello diretto da Jeff Renfroe, cineasta di Seattle che finora si è impegnato in progetti cinematografici di vario genere (aveva esordito nel 2004 col sinistro e inquietante One Point O, mentre adesso è addirittura alle prese con un documentario su Steve McQueen, il grande divo hollywoodiano), è un “survivor movie” che deve molto della sua riuscita al carattere così peculiare, alla magnificenza e alla tetra solennità dell’ambientazione. In The Colony si immagina infatti che la Terra, in seguito alle scellerate azioni dell’uomo, sia diventata un’unica e desolata landa coperta dai ghiacci, dove sopravvivere all’esterno risulta praticamente impossibile. I pochi superstiti si sono pertanto organizzati in piccole comunità sotterranee, separate tra loro da decine di kilometri, che vanno però estinguendosi per le difficili condizioni di vita e per la regressione sociale instauratasi in alcuni gruppi.
Nell’allucinante cornice di questa nuova Era Glaciale, il plot si accende grazie al misterioso SOS che i protagonisti, uno sparuto gruppo di sopravvissuti relegato nella fatiscente Colonia 7, ricevono d’un tratto dalla Colonia 5, in cui risiede un’altra piccola comunità. Tutto ciò, proprio mentre nel loro rifugio si è aperta una discussione sulle linee di comando e su quelle regole spietate, che in assenza di medicine portano all’eliminazione di chiunque si ammali alle vie respiratorie, fosse pure una banale influenza. La tensione palpabile nell’aria gelida non impedisce che si organizzi una spedizione di soccorso, ridotta peraltro a tre uomini. Dalla susseguente avventura il temerario terzetto ricaverà al contempo una speranza e una minaccia: la speranza è quella che le torri, costruite un tempo per influenzare il clima ma rivelatesi poi disastrose, siano ora in grado di liberare un’area dopo l’altra dalla morsa del gelo; vi è però una nuova minaccia, quella rappresentata da essere umani regrediti a uno stadio animalesco e trasformatisi in spietati cannibali, che con la loro insensata, inaudita violenza rischiano di compromettere un futuro già incerto di suo. E per poter beneficiare di un’ultima chance, i malcapitati della Colonia 7 dovranno infine vedersela con le loro bocche affamate…
Sarebbe sbagliato cercare in The Colony le ambizioni filosofiche di Quintet, pellicola di fantascienza realizzata da Altman nel 1979, oppure la tensione spasmodica che possiede La cosa di Carpenter, giusto per rimanere nell’ambito di paesaggi ghiacciati e situazioni claustrofobiche. Eppure, nonostante la deriva troppo fracassona del finale, il film di Renfroe può vantare un equilibrio quantomeno discreto tra gli spunti da thriller orrorifico che caratterizzano la spedizione nella neve, le amare valutazioni sociologiche (gli aspetti davvero crudi della trama, legati all’antropofagia e all’eliminazione dei soggetti più deboli, ci hanno in parte ricordato The Road di John Hillcoat) e l’attenzione per la componente scenografica, probabilmente quella di maggior impatto. Altrettando lodevole la composizione del cast: ai lineamenti decisi di interpreti come Laurence Fishburne, Kevin Zegers e Bill Paxton spetta il merito di aver reso più credibile questa fosca parabola.
Stefano Coccia