" (...) Oscuro anzi nero di una fuliggine secolare, sulla quale splendevano come tanti occhioni diabolici i fondi delle cazzeruole, delle leccarde e delle guastade appese ai loro chiodi".
La descrizione appena fornita può sembrare appartenere ad un passato lontano e distante da noi, in realtà a donarcela è Ippolito Nievo (Padova, 30 novembre 1831 - Mar Tirreno, 8 marzo 1861) nel suo "Le confessioni di un italiano" (tratto da Mondadori, Milano, 1981). L'ambiente descritto collima con il progresso e la modernità che poco a poco si stavano imponendo in quel secolo. In che misura entrarono in tutto ciò le ultime scoperte scientifiche sui microrganismi e metodi di conservazione e, non da ultimo i primi effetti della Rivoluzione Industriale? Per rispondere a queste domande occorre fare alcune riflessioni sul ruolo che ha avuto la scienza nel corso della storia sulla cucina e sulle pratiche culinarie.
Fin dal mondo antico il legame tra queste due realtà è sempre stato molto solido, attraverso l'alimentazione era possibile curare le malattie, non solo mantenere uno stato di buona-salute. Questo concetto è molto importante perché influenzò anche le concezioni mediche medievali. Tuttavia se ci fermassimo solo a ciò avremmo un panorama alquanto riduttivo del rapporto tra cucina e scienza. Quest'ultima infatti non si occupò solo degli aspetti legati al consumo del cibo ma investì anche gli ambiti della sua preparazione e della trasformazione delle derrate alimentari. Così non poche furono le invenzioni che avevano lo scopo di migliorare il lavoro dei cuochi e preservare le proprietà dei cibi. Con ciò non parlo solo dei metodi di conservazione, sviluppatisi e diffusi in funzione del clima, degli strati sociali (non mi stancherò mai di dire che i nobili non avevano bisogno, in linea di massima, di conservare il cibo) e dei Paesi, ma anche delle invenzioni di nuove macchine e strumenti; il grande Leonardo da Vinci, per esempio, noto sia dal punto di vista scientifico/tecnologico che umanistico, è tuttavia poco conosciuto per le invenzioni e le scoperte in ambito culinario. Fu lui infatti il primo a inventare e progettare uno spiedo che poteva girare autonomamente senza impegnare per ore, come generalmente accadeva, uno o più garzoni. Non solo, progettò anche attrezzi e piccole macchine per facilitare e snellire alcuni lavori di cucina.
(Illustrazione contenuta nell'opera
di Bartolomeo Scappi)
Occorre però considerare che questo stretto legame non poteva chiaramente essere uniforme in tutte le cucine: il ceto di appartenenza, la località geografica e influenze culturali giocarono sempre un ruolo fondamentale in tutto ciò, escludendone di fatto alcune rispetto ad altre.
Nonostante ciò, in generale, nel corso della storia nuovi metodi di cottura, apparecchiature, tecniche e materiali e, non da meno, le implicazioni connesse alle nuove conoscenze legate alle pratiche igieniche e di conservazione, mutarono considerevolmente gli ambienti di preparazione e cottura dei cibi. E' necessario però soffermarsi a tal proposito su un'interessante riflessione:
"Il gusto non è il riflesso puro e semplice dell'innovazione"
Questa affermazione fatta dai professori Alberto Cappatti e Massimo Montanari nel libro "La cucina italiana. Storia di una cultura" (Editori Laterza, 2006) crea di fatto un nodo di riflessione che è molto difficile da districare. Il gusto è sicuramente un prodotto culturale e sociale ma è anche, prima di tutto, il risultato dell'esperienza sensoriale che l'individuo ha con il cibo. Nonostante sia oggi spesso (ahimè) associato ad un concetto di modernità, esso esula dal condizionamento temporale e richiama ad un rapporto più diretto con l'esperienza gustativa. Con questo insieme di sensazioni l'innovazione tecnica e scientifica a volte concordano molto poco; da buon bresciano non posso non ammettere che, per esempio, uno spiedo cotto attraverso l'uso delle braci di legna risulti considerevolmente migliore di uno cucinato attraverso una resistenza elettrica, questo caso è solo un esempio per far capire cosa intendo con questa riflessione. In ciò la modernità obbliga la tradizione a compiere molti passi indietro, sia sotto l'aspetto dell'innovazione tecnica che per elementi più igienico-scientifici.
E' chiaro quindi come il gusto, in questo senso, sia un'esperienza atemporale, legata ad altri parametri valutativi, profondamente diversi dallo scorrere del tempo.
(Illustrazione da "La scienza in cucina e l'arte di
mangiare bene", P. Artusi)
Ma nel titolo di questo articolo appare anche l'arte; che ruolo ha all'interno della cucina? Che unione è presente tra questa e la scienza? Anche a queste domande rispondere risulta molto complesso. L'arte in cucina si è espressa nel corso dei secoli non solo attraverso la realizzazione dei piatti e delle proposte gastronomiche, potremmo parlare a lungo del percorso artistico che dal Medioevo ha mutato le grandi elaborazioni di piatti fino a stravolgerle ai nostri giorni, ma anche del contesto più generale riguardante il "fare cucina". Tutto ciò si realizza anche negli allestimenti scenici dei banchetti e delle composizioni di cibi (chi non ricorda a tal proposito le magnificenze esibite nel film Vatel?!), degli utensili di cucina e, indirettamente a quelli di sala. La lista potrebbe essere lunga e articolata e le particolarità tante, nonostante ciò è utile ricordare prima di tutto che sotto determinati aspetti l'arte ha documentato la presenza della scienza e della tecnologia negli ambienti di cucina; del resto anche la semplice osservazione delle opere che accompagnano questo articolo mostra come questa considerazione sia veritiera.
(Spolverini, banchetto nuziale di Elisabetta Farnese, 1718-20,
Parma, Municipio)
Inoltre sono numerosi i libri che documentano lo svolgimento di banchetti regali, cerimonie, ma soprattutto grandi allestimenti scenici, composizioni di vivande calde e fredde, animali cotti e poi adornati con il proprio pelo o piume, e più tardi anche composizioni in zucchero o frutta esotica. Ognuna di queste varianti è la prova del profondo legame che unisce l'uomo con l'arte, ancor prima della scienza. La volontà di rendere desiderabili le pietanze non solo al palato ma anche alla vista lo hanno spinto a creare vere opere d'arte testimonianza, vecchia di secoli, della solidità di questo legame e parte concreta della storia gastronomica.