Tempo fa qualcuna mi chiese di parlare della mia precedente università. Ultimamente l’argomento è tornato disperatamente a galla per cui sì, parliamone.
Ero iscritta a Scienze Internazionali e Diplomatiche.
Era il 2004 e ricordo tutto alla perfezione. Ricordo la visita preliminare a Briolandia con mia madre, prima di partire per l’Australia. Ricordo i test di ingresso durati tre giorni trascorsi a Briolandia sempre con mia madre: ricordo benissimo cosa scrissi nel tema di italiano, ricordo un po’ meno bene il lunghissimo test di inglese, ricordo come se fosse ieri il colloquio orale con l’allora preside del corso di laurea. Ricordo il momento in cui scoprii di essere stata ammessa: ero a casa di Francesca, eravamo io, lei e Alessandra, guardammo assieme la graduatoria, cinquantesima, su più di 200, 100 ammessi (se non sbaglio), uno dei giorni più felici della mia vita, una telefonata ai miei, un’esplosione di gioia e la sensazione di avercela fatta, la sensazione di essere arrivata. Ricordo il giorno dell’iscrizione a Trieste, le prime conoscenze con quelli che sarebbero diventati i miei compagni di corso. Ricordo il primo giorno, con quel discorso già premonitore e sibillino su come saremmo dovuti essere i migliori. Ricordo tutto il primo anno, lezioni massacranti, la perenne sensazione di essere fuori posto, ma tutto sommato me la cavai. Ricordo le bellissime lezioni di storia contemporanea grazie alle quali so qualcosa sulla storia del secondo ’900, ricordo i deliri razzisti e ben poco diplomatici di altri professori, ricordo il primo 30 in geopolitica. Alla fine del primo anno, con un solo esame mancante, sociologia, ero riuscita ad avere comunque la media del 26 e mezzo abbondante, quasi 27. L’esame di sociologia già, uno dei giorni più orribili di tutta la mia esistenza. La parte scritta andò bene; l’iscrizione a quella orale la feci non so quante volte, senza mai presentarmi, non ero sicura, non capivo, la dispensa, scritta interamente dal professore, era senza senso, ma tutti mi dicevano che era facile, che dovevo stare tranquilla. All’esame non ricordo bene cosa mi chiese, forse McLuhan, forse qualcun altro, spiattellai quello che avevo studiato più o meno a memoria, ma si vedeva che non padroneggiavo la materia. Il professore mi disse che non capivo niente, che non sapevo parlare, che non ero in grado di esprimermi, che non avrei dovuto essere lì, in quell’università, e che avrei fatto meglio a cambiare. Suppongo che avesse ragione, dal momento che poi l’università l’ho cambiata sul serio, però poteva essere anche più simpatico di un ferro incandescente piantato nel culo. Mi diede 26 e lo fece con un tal disprezzo che mi sentii peggio, e già non stavo granché bene.
Sì, non l’ho detto prima, la mia media, del 26 e mezzo abbondante quasi 27 era la più bassa dell’intero corso. Lo sapevo perchè l’attività preferita dei miei vecchi colleghi (di quasi tutti, per l’amor del cielo, qualcuno normale c’era) era, oltre che studiare e discutere della drammatica situazione di qualche inesistente staterello africano (e, per inciso, non sapevano in che regione si trovasse Mantova), confrontare i voti, spiare quelli altrui, imparare a memoria i numeri di matricola per capire chi aveva preso cosa. All’esame di statistica presi 24, ero felicissima, per un’asina, numericamente parlando, come me un 24 in statistica era come il nobel per la pace dato a Rambo, quando mi chiesero il voto e risposi sinceramente venni accolta da sguardi di pena, commiserazione e da pacche sulla spalla, come se il professore mi avesse appena cagato in bocca pulendosi il culo con la mia felpa (e no, una metafora più gentile non mi viene in mente). Al secondo anno avevo talmente tanti amici che quando un professore nuovo fece l’appello e chiamò il mio nome una STRONZA (e lo scrivo grande apposta, le ho augurato talmente tanti episodi di dissenteria che in questo momento dovrebbe avere l’intestino ridotto a un blob) rispose al mio posto dicendo che non c’ero più. Peccato che io fossi nell’aula, lì presente, ben visibile tra l’altro. Uno una volta rifiutò il 30 per avere un 30 e lode.
Il professore di sociologia lo rividi poi due volte in stazione e non so cosa esattamente mi abbia trattenuto dal scaraventarlo sotto all’Intercity Allegro Don Giovanni. Sarei stata allegra io, a vederlo spiaccicato agonizzante sui binari. Comunque alla fine aveva ragione, non dovevo essere in quella università. Ero sbagliata, ero un errore, un’anomalia del sistema. Il problema è che al test di ingresso non c’era un test attitudinale, un colloquio psichiatrico per attestare l’idoneità mentale dei candidati. Non so se le cose ora siano cambiate. Se ci fosse stato non l’avrei passato.
Io avrei risposto no. Solo che queste cose le ho scoperte dopo e mi avrebbe fatto comodo scoprirle prima. E’ non le scrivono sulla guide dello studente queste avvertenze. Bisogna avere la stoffa per diventare scienziati internazionali e diplomatici. E’ una facoltà per chi non ha problemi a muoversi, a spostarsi, è un corso di laurea per persone intraprendenti, decise, aperte a molte possibilità. Se vi può interessare quasi tutti i miei vecchi compagni di corso ora studiano/lavorano all’estero, Londra, Bruxelles, Vienna, Ankara, Ginevra, Strasburgo, Kosovo, Sud America, per le più svariate organizzazioni internazionale e imprese, Fao, UNHCR, Croce Bianca, Oracle, etc etc. Quindi la carriera è praticamente assicurata. Laureatevi bene lì (e per bene intendo 110 meglio con lode), siate disposti a muovervi dall’Italia e avrete una carriera certa. Ci venne a trovare uno che all’epoca aveva 28/29 anni, lavorava per l’OCSE e aveva uno stipendio di oltre 5000€. Uno ora lavora per la World Bank, la banca del mondo, che deve essere qualche gradino sotto la banca interstellare, prossimamente su Battlestar Galactica.
Ecco, questa è la mia storia. Sono una scienziata internazionale e diplomatica mancata. Sì Margherita Dolcevita ha provato a fare la persona seria, ma le è andata male.
ps. ho provato ad immaginare i commenti a questo post da parte di chi si è laureato in questo corso di laurea, non ci vuol molto. Può darsi che io sia una pazza visionaria con spiccate tendenze al melodramma, così come può darsi che io sia stata sfortunata, può darsi anche che io non abbia capito niente, può darsi un’infinità di cose. Io ho avuto una pessima esperienza, sono stata triste ed infelice. Sono partita per Briolandia a 19 anni che ero una ragazza quasi normale, piuttosto allegra, speranzosa, quasi solare, tutti mi dicevano che ero intelligente e che avrei potuto fare quello che volevo. Sono tornata a casa definitivamente 3 anni dopo ed ero una persona diversa, misera, infelice, è stata la mia rovina. Se la mia esperienza è stata questa non è detto che debba essere così per tutti! Io mi sono riscoperta fragile, inadeguata, inadatta a quel mondo, e questa rimane sempre l’opinione di una 26enne non laureata, zitella, obesa e con un gatto ipertiroideo, che sarà mai no?