Per fortuna c’è lo sciopero generale. Per fortuna c’è qualcosa di sensato in Italia. Per fortuna ci siamo. Perché se una cosa è diventata sempre più chiara in questi anni e poi sempre di più negli ultimi mesi è che né la maggioranza, né il ceto politico nel suo complesso, né l’intera classe dirigente sono in grado affrontare i cambiamenti di cui il Paese ha urgente bisogno: la riscoperta del lavoro come valore centrale della Repubblica, un ritorno alla sua dignità e alla sua tutela, un nuovo patto sociale che riporti l’evasione alla sua fisiologica marginalità, un risanamento etico e un nuovo welfare. Tutti motori di economia oltre che di civiltà.
E del resto proprio questa è l’abiezione più profonda di questi tempi, quella di credere che con meno civiltà ci sia più economia. qualcosa che ad analizzarlo suona ridicolo e avvilente, anche se si è ficcato dentro le menti come un parassita.
La classe dirigente non è in grado di uscirne perché essa si è creata e affermata proprio sulla base di un’anomalia italiana, esplosa con il berlusconismo, ma le cui radici erano presenti già prima. Perché si è votata ad un immobilismo di rapina nelle sue espressioni di destra e a un immobilismo migliorativo in quelle di sinistra. Gli unici disgraziati cambiamenti sono stati in peggio, essendo suggeriti dalla “modernità” del pensiero unico o indotte da risibili e disastrose imitazioni di ciò che avveniva in società diverse. Anche per questo le manovre si abbattono sempre su chi ha di meno e purtroppo sempre di meno.
Per fortuna che siamo in piazza, di nuovo ad affermare la volontà di riprendere le redini. Perché sarebbe una distrazione pensare che tutti i guai derivino dall’eccezionale corruttela e cialtroneria del berlusconismo grazie alla quale siamo diventati una barzelletta mondiale. Occorre una radicale presa di distanza da questo modello, al di là delle deformazioni e distorsioni a cui abbiamo assistito nell’era del Cavaliere e che in parte sono state introiettate, in parte sono state un vantaggio per cricche e corporazioni che ora non vogliono rinunciarvi. E la cricca numero uno è proprio quella di governo.
Certo uno sciopero generale è assieme un ritrovarsi e un segnale, ma di per sé è solo l’inizio di un cammino che in questa fase ha molte strade da percorrere: l’organizzazione di nuove forze, una pressione sempre più forte sui partiti tradizionali perché badino all’elettorato, piuttosto che alle loro logiche interne di potere, pressione anche sui media perché escano dalle loro scacchiere di potere piuttosto che andare a traino degli stessi, cercare nei limiti del possibile di rendere reali piuttosto che esclusivamente virtuale la trama di scambio di idee permessi dalla rete.
Paradossalmente è un’azione che richiede di sporcarsi le mani, non è un tempo di duri e puri contro molli e corrotti, ma di idee chiare e decisione perché si tratta di salvare il Paese e la sua civiltà buttando via la troppa acqua sporca che si accumulata. E questo non potrà venire dall’alto, perché ormai è troppo basso. Per fortuna che siamo in piazza.