Continua la polemica innescata da alcuni neurologi sul ruolo dell’insufficienza venosa cronica cerebrospinale (CCSVI), scoperta nel 2007 dal prof. Paolo Zamboni (Direttore del Centro Malattie Vascolari dell’Università di Ferrara), nella sclerosi multipla (SM), malattia gravemente invalidante che colpisce 63.000 italiani e per la quale non si conoscono ancora né le cause né una terapia definitiva e valida per tutti, nonostante le ingenti risorse investite per la ricerca soprattutto nel ricco settore farmaceutico.
Sulla materia abbiamo intervistato l’angiologo e chirurgo vascolare prof. Massimiliano Farina del Policlinico di Monza:
Professor Farina, sulla base della sua esperienza la CCSVI scoperta dal prof. Zamboni esiste veramente?
“La CCSVI rappresenta una realtà sia sul piano anatomico che emodinamico e questa mia affermazione nasce da un’esperienza maturata nel corso degli anni, dopo tanti esami di diagnostica vascolare eseguiti in campo arterioso, ma soprattutto venoso e dopo un approfondimento specifico negli ultimi 4 anni a livello dei distretti giugulari e vertebrali, in oltre un migliaio di soggetti con SM e circa 300 controlli normali.”
A suo avviso c’è una correlazione con la sclerosi multipla e le altre malattie neurologiche?
“Sicuramente la correlazione esiste, dal momento che la sua prevalenza nei pazienti con SM è elevata perlomeno nelle nostre casistiche (nella mia personale siamo intorno al 89%). Non sono invece in grado di esprimermi relativamente alle altre malattie neurologiche non SM correlate, in quanto la mia esperienza riguarda solo una trentina di pazienti con forme alquanto eterogenee.”
Sullo studio CoSMo dell’Aism che nega questa correlazione cosa ci può dire?
“Senza dubbio qualcosa non quadra in quanto i risultati di prevalenza sono troppo distanti dai nostri. Sarebbe troppo lungo entrare nel merito della questione, per una diatriba divenuta, credo, difficilmente sanabile. Molto si sarebbe potuto e dovuto fare a riguardo da entrambe le parti, pensando al raggiungimento di un obbiettivo comune, ossia la conferma con rigore scientifico di un ipotesi di lavoro, nel bene del paziente. Vorrei solo concludere facendo mio un vecchio motto latino per cui, molto probabilmente, la “verità come sempre sta nel mezzo”.
Ai malati di SM positivi alla CCSVI consiglierebbe di fare l’intervento di angioplastica oppure è meglio aspettare la fine degli studi in corso?
“L’angioplastica ha rappresentato una prima risposta razionale al problema, facilmente proponibile anche per la bassa incidenza di complicanze. Non penso che nessuno possa aver avuto la presunzione di ritenere tale metodica l’unica possibilità d’approccio alla CCSVI. Tutti auspicavano semmai ad un miglioramento della tecnica, con l’introduzione di materiali dedicati (che ad ora sono mancati) o all’introduzione di nuove tecniche d’intervento, che potessero risolvere, ad esempio, situazioni, che già all’analisi ecografica preliminare (poi confermata dai dati di restenosi), apparivano di difficile soluzione attraverso la semplice dilatazione del vaso. Oggi, ad esempio, con l’esperienza maturata in questi anni, sarei in grado di prevedere quali vasi possono verosimilmente mantenere più a lungo nel tempo l’effetto della dilatazione. Mi riferisco ovviamente all’effetto della procedura e non all’eventuale beneficio sulla malattia. Ritornando quindi alla sua domanda consiglierei per il momento una tattica “attendista” valutando ogni caso singolarmente, sulla base del dato Eco-Doppler, dell’età del paziente e del quadro clinico globale..”