E’ stato pubblicato sul sito americano TCTMD (educazione e notizie cardiovascolari interventistiche) della Fondazione per la Ricerca Cardiovascolare un articolo intitolato “Una serie di casi mostra una curva di apprendimento per la controversa procedura di angioplastica per la SM”.
La sicurezza dell’angioplastica per correggere le anomalie venose viste nei pazienti con sclerosi multipla (SM) aumenta con l’esperienza dell’operatore, portando ad un basso tasso totale di eventi avversi a 30 giorni. Lo studio in corso di stampa, pubblicato online il 14 agosto 2013, sul Journal of Vascular Surgery, è una delle serie individuali più grandi pubblicate sulla terapia endovascolare per la SM.
I ricercatori, guidati dal Dott. Tommaso Lupattelli del Gruppo Villa Maria di Roma, hanno trattato, da settembre 2010 a ottobre 2012, 1.202 pazienti consecutivi con angioplastica delle giugulari per via femorale per l’insufficienza venosa cronica cerebrospinale (CCSVI). I pazienti sono stati trattati in regime ambulatoriale in due centri italiani.
La “Teoria della CCSVI” nella SM ipotizza che la CCSVI, che viene diagnosticata con l’ecodoppler in base a criteri specifici, possa avviare l’infiammazione perivenosa, un segno istopatologico della SM. Lo scopo della terapia endovascolare è aprire le vene giugulari interne stenosizzate. Tutti i pazienti dello studio soddisfacevano almeno 2 dei criteri specifici per la CCSVI ed erano sintomatici per la SM.
Sicura e fattibile, ma esiste una Curva di Apprendimento
Nel complesso sono stati fatti 1.219 interventi. La maggior parte dei pazienti è stata sottoposta a flebografia seguita da ricanalizzazione endovascolare con la sola angioplastica (98,9%). L’angioplastica con impianto di stent è stata eseguita su 14 pazienti (0,2%) a causa di una risposta insoddisfacente alla sola angioplastica. Tutti gli stent erano di tipo BMS ad auto-espansione, e nessuno di essi è stato collocato nelle vene giugulari interne. Solo uno dei pazienti con stent aveva la necessità di più stent (2 sovrapposti). La procedura era primaria nell’86,5% e di reintervento nel 13,5%.
La maggior parte dei pazienti (98,2%) sono stati dimessi quattro ore dopo l’intervento, mentre 19 pazienti sono stati dimessi il giorno seguente e 3 sono stati dimessi nei giorni 2, 3 e 7.
Il successo procedurale è stato del 99,2%. L’insorgenza di complicanze maggiori a 30 giorni, l’endpoint primario, era complessivamente bassa (0,6%), senza morti, ictus, o complicanze maggiori legate al mezzo di contrasto. Quando i ricercatori hanno separato gli interventi in 2 gruppi, i primi 400 casi eseguiti e quelli successivi, gli eventi avversi si erano verificati solo nel primo gruppo (tabella 1).
Tabella 1. Complicanze maggiori a 30 giorni
Casi 0-400 Casi 401-1.219
Trombosi venosa post-procedurale 0.2% 0
Grave emorragia dell’inguine con necessità di chirurgia aperta 0.1% 0
Rottura del vaso che ha richiesto una trasfusione di sangue 0.1% 0
Apertura chirurgica della vena femorale comune per rimuovere frammenti di palloncino 0.2% 0
A 30 giorni, il tasso complessivo di complicanze minori era del 2,5%. A differenza delle complicanze maggiori, queste sono state viste in entrambi i casi precoci e tardivi. Gli eventi includevano reazione al mezzo di contrasto, aritmia cardiaca transitoria, sanguinamento nella sede di iniezione o ematoma.
Il tasso di successo tecnico è stato del 90,4%, con stenosi persistenti >50% di almeno una vena giugulare interna viste nel 6,8% dei pazienti alla flebografia di conferma. Il controllo doppler mostrava un tasso di CCSVI, definito come persistenza o ricorrenza di almeno due criteri di Zamboni dopo l’angioplastica, dell’11,8% a 6 mesi e del 19,1% ad 1 anno.
Secondo gli autori dello studio, i risultati confermano “che il tasso di eventi avversi a seguito dell’angioplastica con catetere è ragionevolmente basso, con basso rischio di gravi eventi avversi. Tuttavia, un’adeguata curva di apprendimento sembra ridurre altamente il tasso di complicanze”.
Un’occasione sprecata
In una intervista telefonica con TCTMD, il Prof. Adnan Siddiqui dell’Università di Buffalo (New York), ha espresso disappunto e frustrazione verso gli autori dello studio per non aver incluso alcun dato su come stavano i pazienti dopo il trattamento.
“Inizialmente sono rimasto sorpreso nel vedere che avevano trattato più di 1.000 pazienti” ha detto il Prof. Siddiqui. “Ma poi mi sono reso conto non c’è alcun dato sulla scala di disabilità per pazienti affetti da sclerosi multipla (EDSS), niente ti dice su quello che è successo alla sclerosi multipla dei pazienti. Eppure avevano dati pre-procedurali sull’EDSS, quindi perché non li hanno raccolti dopo la procedura?”.
Ha aggiunto che lo studio è un “cattivo servizio” per i ricercatori e i pazienti con SM che credono che ci sia qualcosa dietro alla teoria della CCSVI. Il Prof. Siddiqui e colleghi hanno recentemente pubblicato dati dallo studio randomizzato PREMiSe (terapia endovascolare prospettica randomizzata nella sclerosi multipla) (Karmon Y e altri J Vasc Surg 2013; in corso di stampa), che ha utilizzato l’angioplastica venosa su 30 pazienti con sclerosi multipla recidivante.
“Dopo aver fatto io stesso la ricerca penso che ci sia qualcosa sulla CCSVI, ma non credo che sia una semplice questione di fare solo l’angioplastica venosa”, ha spiegato il Prof. Siddiqui. “Non ne sappiamo ancora abbastanza… e tentativi come questo screditano la possibilità di una vera indagine scientifica sul ruolo delle vene, del flusso venoso e del deflusso nei pazienti con sclerosi multipla e altre malattie potenzialmente degenerative. Ci sono anomalie in questi pazienti che possono essere correlate alla loro patologia di base, ma non lo sappiamo per certo”.
Dettagli dello studio
Poco più della metà (54,5%) dei pazienti era di sesso femminile, e l’età media era di 35 anni. In media, i pazienti erano stati diagnosticati con la SM da 11,3 anni: il 48,6% con malattia recidivante remittente, il 35,9% secondariamente progressiva, il 9,3% primariamente progressiva, ed il 6,2% sconosciuta.
Fonte: http://www.tctmd.com/show.aspx?id=119904