Scoliopteryx libatrix e altre falene descritte da Giancarlo Castello

Creato il 07 febbraio 2011 da Gturs
Parecchio tempo fa, un caro amico, mi inviò delle fotografie che scattò nel complesso fortificato del balcone di Marta. Bellissime fotografie di falene.


Fotografie di Alessio Bosco
Sono rimaste parecchi mesi ferme nella memoria del mio archivio immagini quando ecco l'occasione giusta, Giancarlo Castello, l'entomologo che ha già collaborato con questo blog, si rende ancora disponibile per una collaborazione. Oggi mi ha inviato una scheda molto interessante su queste creature, una scheda molto bella e dettagliata come solo lui sa fare. Ci spiega la suddivisione data alle specie viventi delle grotte, in base al motivo di permanenza.
QUANDO LA BELLEZZA SI NASCONDE NEL BUIO SILENZIOSO.
Di Giancarlo Castello
Gentile Roberta, finalmente posso rimettermi a tavolino per collaborare nuovamente con lei. Le interessantissime foto che mi ha mandato, raffiguranti misteriose farfalle ricolme di gocce, ci fanno capire quanto sia imprevisto e misterioso il mondo degli insetti. La nostra immaginazione ci porta a vedere farfalle variopinte che veleggiano in certe belle giornate soleggiate. Ma, come ho già detto in altre occasioni, le farfalle si dividono in due gruppi, esistendo specie diurne e specie notturne, anzi sono proprio queste ultime a essere decisamente le più abbondanti e scientificamente interessanti. Mentre è abbastanza facile catalogare le 386 specie che costituiscono le farfalle del giorno, molto più difficile risulta lo studio delle 4.700 specie della notte, che chiamiamo falene, senza contare che, alcune tra esse, hanno deciso di tornare a far parte di una fauna che possiamo definire crepuscolare, vale a dire a metà strada tra il giorno e la notte. Nella complessa suddivisione delle falene possiamo trovare stranezze ed eccezioni a piacere. Tutte le specie, indistintamente, per volare con sufficiente vigore, hanno bisogno di una certa temperatura nelle ali, almeno 30 gradi, il che non è poco. Per generarla gli individui convertono in energia il nettare che aspirano dal calice dei fiori e per le specie diurne, che utilizzano la famosa polverina, funzionante come i pannelli solari, la notte non servirebbe. Per contro le falene, che quasi sempre possiedono anche una folta pelliccia, si scaldano con quelle speciali vibrazioni delle ali che possiamo a volte osservare. Logicamente, chi è alla ricerca del caldo, non dovrebbe essere attratto dall’umidità. Allora perché quegli esemplari tutti ricoperti da goccioline? Sono forse scampati a un acquazzone e stanno al coperto ad asciugare? A questo punto cercheremo di chiarire la questione. Dal tempo delle glaciazioni (L’ultima, quella di WÜrm, è terminata appena diecimila anni fa…) alcune specie hanno acquisito l’abitudine indotta di frequentare l’ambito delle grotte. In quel periodo era una questione di vita o di morte e un ambiente protetto dal gelo polare poteva significare la sopravvivenza. Si sa, è facile prendere un’abitudine, difficile invece è toglierla, non parliamo poi di un adattamento lentamente conquistato (provate a far vivere un eschimese dalle nostre parti e cercherà il freddo). Non sono molte in verità le creature che si sentono ancora attratte da quell’ambiente così particolare. Tra le farfalle solo una decina di specie frequenta le entrate di grotte naturali (o artificiali), conservando atavicamente un’acclimatazione che le costringe a cercare ciò che normalmente non è affatto gradito. Secondo la suddivisione data alle specie viventi delle grotte, in base al motivo di permanenza, esistono tre tipi di esseri: 1 I TROGLOSSENI, quelli che capitano per caso all’interno di una grotta e che vi permangono brevemente per sfuggire a qualcosa. Nel caso non ritrovino l’uscita, data la mancanza di cibo, periscono miseramente. 2 I TROGLOFILI, che invece sono attratti dalle grotte solo in certi periodi, per una semplice questione biologica, oppure per la persistenza di un atavico adattamento a quell’ambiente, comprese l’umidità, una temperatura stabile e la mancanza di ventilazione.3 I TROGLOBI, cioè quelle specie che non possono fare a meno dell’ambiente sotterraneo, essendosi adattate definitivamente a quelle condizioni di vita, con un’alimentazione specializzata e modificazioni fisiche permanenti.
Alla luce di questa premessa le nostre farfalle sono dunque creature Troglofile, pur conservando una vita esterna come tutte le altre specie. I loro bruchi, al pari di tutti i bruchi che si rispettino, hanno bisogno di una precisa pianta nutrice, in mancanza della quale sarebbero condannati. La nostra zona è tra le più ricche del mondo in fatto di cavità naturali abitabili (considerando tutte le Alpi Liguri, sono almeno 1.250) e risulta pertanto ricca di fauna sotterranea. La decina di specie di farfalle che possiamo osservare in quei luoghi sono tutte, ovviamente, notturne. Alcune le troviamo persino nel buio delle nostre cantine, che loro considerano grotte naturali.La più interessante tra queste è l’Apopestes spectrum, la falena della ginestra odorosa (Spartium junceum), quella che comunemente chiamiamo ginestra gialla, vistoso cespuglio, tipico della macchia mediterranea.


Venendo alle specie delle fotografie, possiamo riassumerne le caratteristiche attraverso alcuni brevi appunti. La prima, molto più vistosa, soprattutto per il suo colore, appartiene alla Famiglia più numerosa tra le farfalle europee, quella dei NOTTUIDI, che conta ben 816 specie. Si tratta della Scoliopteryx libatrix , la falena libatrice (su libiam nei lieti calici… non vi ricorda niente?), adattata da tempi remoti all’umidità delle grotte, vi si rifugia durante il giorno e per tutto l’inverno.
Fotografia di Alessio Bosco
La si ritrova specialmente sulle volte, dove può sostare assolutamente immobile, mentre le goccioline scorrono sulla superficie untuosa delle sue ali di un bel colore lavico e legnoso, con sfumature gialle e rosacee. Come se entrasse in ibernazione, la si può trovare in grotte freddissime, fino a duemila metri. Forma a volte raggruppamenti numerosi, e siccome le grotte sono anche il luogo dove va a morire, costituisce un importante alimento per tantissimi altri esseri sotterranei.
Fotografia di Alessio Bosco
Ma parliamo ora del suo bruco, quella parte di sé che le fornirà la sostanza primaria per costruire il suo corpo volante. Chi lo vedesse sulla sua pianta madre, mentre sgranocchia abbondanti pezzi di foglia, non penserebbe mai alla farfalla in questione. Lo si può osservare specialmente in giugno-luglio, è verde chiaro, con due linee laterali giallognole e una fascia superiore scura.
Appare vellutato e sono riconoscibili gli anelli che suddividono il suo corpo. Anche la testolina è verde e presenta una riga in mezzo di colore scuro. La sua pianta d’elezione è in pratica ogni tipo di salice, e la scelta è molto giusta, dal momento che abbiamo tante specie anche in alta montagna, vedi ad esempio il salice reticolato (Salix reticulata) che si può dire uno degli alberi più piccoli del mondo, un autentico bonsai naturale.

Venendo alle altre falene, così eteree, come piccoli fantasmi difficili da determinare, possiamo affermare che si tratta di GEOMETRIDI, una Famiglia di 619 specie, i cui bruchi hanno un modo curioso di spostarsi: puntando le due false zampe terminali sollevano il corpo verso l’alto, come un compasso, per poi raddrizzarlo in una posizione più avanzata.
Fotografia di Alessio Bosco

A proposito, di tutte quelle zampe che vedete nei bruchi, soltanto sei sono le vere zampe, le altre sono una sorta di callosità che funge da appoggio per il corpo, piccole stampelle, insomma. Il nome della specie suona un po’ snob: Entephria nobiliaria, la falena della Sassifraga a foglie opposte (Saxifraga oppositifolia), una pianta che è anch’essa relitto glaciale, il cui adattamento da noi sembrerebbe davvero improbabile, dal momento che oggi persiste solo nei paesi scandinavi.

Potete ammirare i suoi splendidi fiori nei luoghi più ombrosi del mitico Monte Toraggio, dove permangono a lungo mucchi di neve ghiacciata anche nella bella stagione. Il bruco dell’Entephria sembrerebbe uguale a tanti altri. In realtà è facilmente riconoscile per chi sa osservare. Dal colore di base marroncino-violaceo, presenta sulla schiena, uno dietro l’altro, disegni bianchi, come punte di freccia o, se vogliamo restare in tema, come picchi innevati, tutti uguali.

La sua biologia, particolarmente rallentata, fa sì che, nei mesi più temperati, lo sviluppo avvenga molto lentamente all’interno dei gambi della sassifraga, essi stessi generanti calore, dove si formerà anche la crisalide. Di questa lunga disamina che apparentemente descrive solo due specie, spero si possa cogliere il vero messaggio, cioè che nulla vive da solo su questa Terra e che anche per un piccolo insetto ci si veste di meraviglia e bellezza quando cominciamo a capire la complessità del suo mondo.
Giancarlo Castello
Ringrazio Giancarlo Castello per la sua preziosa collaborazione con una promessa, ritornerò a fotografare la natura per farcela raccontare.

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