Sicilia, Palermo.
Prima volta in palestra.
Vado dal padrone, un palestrato con una bandana in testa, pago ventimila lire, dico che gli altri li porto domani, che li ho dimenticati.
Una bella stretta di mano che mi disabilita per i primi dieci minuti di workout.
Entro.
California, San Francisco.
Prima volta in palestra.
Mi siedo al tavolo con un certo Tom, account executive. Mi chiede i dati e inserisce tutto nel database aziendale.
Benvenuto a bordo mi fa.
Fin qui tutto alla grande, almeno finché prendo i soldi dallo zaino.
No, no, mi dice Tom, non accettiamo contanti. Solo carte di credito.
Ah, faccio.
Ci vuole pazienza mi dico.
Saluto Tom, che inaspettatamente si mette a urlare: 24h fitness ti aspetta!
Yeh! faccio io.
Così, mi sembrava l’unica cosa sensata da dire.
Torno a casa, prendo la carta di credito, vado in palestra.
Io e Tom ci sediamo di nuovo al tavolo, uno di fronte all’altro.
Prende la carta di credito, la passa sul dispositivo.
Niente.
Guarda la carta. Avanti e dietro.
Comincia a sudare.
Che succede Tom?
La tua carta non funziona, dice.
Gli faccio: strano, la uso sempre. Sarà perché è italiana?
Per tutta risposta Tom chiama Dean, il super account manager, che infatti mostra subito la sua esperienza di uomo problem solving.
Fatti una carta americana dice.
Una carta di credito americana.
Lì cado in uno stato catatonico stile Scrubs, immagino la musica del Padrino in sottofondo e io che dico: Vedi Tommi, tu sei pure un bravo ragazzo, ma io ho fatto 7000 chilometri per arrivare in questo Paese. Ho fatto una fila di un’ora alla dogana e ho dovuto giurare di non avere cattive intenzioni. Ora Tommi stammi ad ascoltare: io in banca non ci vado. Se in palestra mi tenete 45 minuti per 65 dannati dollari, Tommi, io in banca non ci vado neanche se mi ammazzi. Intesi?
Ma proprio in quel momento do un’occhiata allo schermo del pc e leggo “inserisci il numero della carta di credito”.
Un momento, faccio. Se vi do quei codici possiamo fare a meno di passare la carta sul dispositivo.
Certo, mi dicono.
Certo non è proprio la prima cosa che mi viene in mente ma non voglio essere polemico, pago e così sono ufficialmente iscritto.
Mi sento finalmente libero e felice.
Sì, mi fa male la schiena e sbadiglio dalla stanchezza, ma vuoi mettere essere iscritti in una palestra americana.
Vado verso l’entrata sovrappensiero e sbatto con la sbarra all’entrata.
Chiusa.
Mi giro verso Tom.
Ah. Mi dice.
E già da sto ah io ricomincio a sentirmi di un agitato.
C’è una procedura da fare ogni volta che entri, dice.
Mi avvicino. Ormai seguo ogni cosa che ordina senza fiatare.
Metti il dito lì che prendo l’impronta.
Metto il dito lì.
Toh, mi ricorda la dogana.
Adesso digita il tuo codice segreto di dieci cifre.
Un codice, gli faccio.
Codice, ripete.
Un codice segreto.
Un codice segreto, ripete.
Sto lì. 1 minuto.
Cioè, un codice segreto di dieci cifre che poi mi devo ricordare?
Un codice segreto di dieci cifre che poi mi devo ricordare, mi fa.
Tre minuti.
Ci sono.
Mi viene in mente qualcosa di abbastanza facile.
Lo digito.
Buon workout Luca! Urla Tom.
Mi giro verso di lui per l’ultima volta. È rimasto con pollice all’insù in attesa di una mia reazione. Povera creatura.
Sospiro. Yeh! urlo a mia volta.
Pollice all’insu.
Sono in un bagno di sudore.
Ma anche oggi ce l’abbiamo fatta.