Scontri galattici in un mare di onde radio

Creato il 28 maggio 2015 da Media Inaf

Rappresentazione artistica dei getti ad alta velocità emessi dai buchi neri supermassicci. Crediti: ESA / Hubble, L. Calçada (ESO)

C’è un legame inequivocabile tra la storia evolutiva delle galassie e i buchi neri supermassicci al loro interno in grado di produrre potenti emissioni radio associate a getti di materia che viaggia a velocità prossime a quella della luce. Quasi tutte le galassie che ospitano questi getti risultano infatti essere in fase di fusione con altre galassie o aver completato il processo di recente. Questo è il quadro che emerge dallo studio di un team internazionale di astronomi guidato dal ricercatore INAF Marco Chiaberge e a cui ha partecipato il collega Roberto Gilli, che viene pubblicato in un articolo sulla rivista the Astrophysical Journal.

L’indagine, la più estesa di questo tipo mai realizzata, ha utilizzato le riprese della Wide Field camera 3 (WFC3) a bordo del telescopio spaziale Hubble della NASA e dell’ESA. I ricercatori hanno utilizzato i dati della WFC3 per indagare la relazione tra galassie che nella loro storia hanno attraversato processi di fusione e l’attività dei buchi neri di grande massa al loro interno. Per fare questo, hanno passato al setaccio una vasta selezione di galassie dotate di nuclei estremamente luminosi (i cosiddetti Nuclei Galattici Attivi, o AGN, dall’inglese Active Galactic Nucleus). Questa luminosità proverrebbe dalla enorme quantità di materia che precipita verso il buco nero al centro della galassia, attratta dalla sua potentissima forza gravitazionale. Questa materia, spiraleggiando verso di esso, si riscalda ed emette un intenso flusso di radiazione elettromagnetica. Anche se praticamente ogni galassia ospita al suo centro un buco nero supermassiccio, solo una piccola percentuale presenta un nucleo attivo. Sono poi ancora più rare quelle che, oltre al nucleo galattico attivo, mostrano la presenza di getti di emissione relativistici, ovvero due getti di plasma che si propagano in direzioni opposte, perpendicolari al disco di materia che circonda il buco nero, con velocità prossime a quella della luce ed estendendosi per migliaia di anni luce nello spazio. L’interazione fra particelle cariche e il campo magnetico all’interno dei getti produce intensi flussi di onde radio. Il team si è concentrato proprio nello studio di questi getti, per capire se e come questo fenomeno così peculiare fosse legato ai processi di fusione tra galassie. A tale fine i ricercatori hanno studiato cinque categorie di galassie che presentassero chiari segni di queste interazioni, ancora in corso o appena concluse: due categorie con getti, due categorie con nuclei attivi ma senza getti e un gruppo di galassie ordinarie che non mostravano alcun segno di attività nel loro nucleo.

Questa immagine è stata scattata dal telescopio spaziale Hubble e mostra una selezione di galassie utilizzate in questa survey. Queste galassie hanno emissioni molto forti a lunghezze d’onda radio, il che implica che i buchi neri supermassicci che ospitano stanno alimentando enormi getti di materia.  A sinistra (in alto e in basso) ci sono le galassie 3C 297 e3C 454.1, a destra c’è 3C 356. Crediti: NASA, ESA, M. Chiaberge (STScI)

«Le galassie che ospitano getti relativistici emettono grandi quantità di radiazioni a lunghezze d’onda radio», ha spiegato a Media INAF Chiaberge, dell’Istitituto di Radioastronomia dell’INAF e in forza anche allo Space Telescope Science Institute (a Baltimora, Stati Uniti) e alla Johns Hopkins University (sempre negli USA). «Grazie ai dati raccolti dalla Wide Field Camera 3 di Hubble abbiamo scoperto che quasi tutte le galassie che presentano grandi quantità di emissioni radio, e quindi dotate di getti, hanno sperimentato processi di fusione. Tuttavia, l’indagine ci ha mostrato che le galassie che contengono getti non sono le sole che hanno mostrato le prove di precedenti fusioni!».

«In effetti abbiamo scoperto che la maggior parte degli eventi di fusione non produce sempre AGN con emissione radio potente», ha aggiunto Roberto Gilli, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Bologna. «Circa il 40% delle altre galassie che abbiamo osservato mostra segni di fusione e tuttavia non è riuscita a produrre le spettacolari emissioni radio e getti delle loro controparti».

Anche se è ormai chiaro che una fusione galattica è quasi certamente necessaria per far sì che una galassia con un buco nero supermassiccio sviluppi getti relativistici, i ricercatori suggeriscono che questo evento da solo non basti: per arrivare a innescare questi fenomeni devono essere soddisfatte ulteriori condizioni. Chiaberge e i suoi colleghi ipotizzano che dalla collisione tra due galassie si può generare un buco nero con getti quando esso, prodotto da due buchi neri più piccoli, abbia acquistato una elevata velocità di rotazione. Un’accelerazione che produrrebbe un eccesso di energia sufficiente per alimentare i getti.

«Ci sono due modi in cui le galassie interagenti possono influenzare il loro buco nero centrale. Uno è legato all’aumento della quantità di gas che viene spinto verso il centro della galassia, e conseguentemente della materia che precipita nel buco nero e ingrossa il suo disco di accrescimento» spiega Chiaberge. «Questo processo dovrebbe però influenzare i buchi neri in tutte le galassie che si fondono. Però, non tutte le fusioni fra galassie producono getti. Quindi questo processo non è sufficiente a spiegare il loro innesco. L’altra possibilità è che durante la fusione tra due galassie massicce si verifichi anche la coalescenza di due buchi neri di massa simile. Potrebbero verificarsi così opportune condizioni per produrne uno solo, supermassiccio e in rapidissima rotazione, in grado così di produrre i getti che osserviamo».

Per saperne di più:

Allo studio pubblicato nell’articolo “Radio loud AGN are mergers” su The Astrophysical Journal hanno partecipato, oltre Marco Chiaberge e Roberto Gilli, anche Jennifer Lotz (Space Telescope Science Institute) e Colin Norman (Space Telescope Science Institute e Johns Hopkins University).

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Galliani


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