2010: Scontro di civiltà per un ascensore in Piazza Vittorio di Isotta Toso
Quest’opera prima è stata apprezzata dalla critica anche se non ha convinto del tutto.
“Isotta Toso mette tutta l’ideologia in tavola ed è troppa, ma ha il coraggio dell’impegno” (Corriere della Sera), “ Più una bella e feconda promessa, che un risultato compiuto” (Repubblica).
Cinema e letteratura non sempre sono confrontabili, sono linguaggi diversi, hanno esigenze diverse. Eppure è impossibile vedendo un film tratto da un libro che si è letto non metterli a confronto. Spesso lo spettatore ha la sensazione che il film abbia «tradito» il libro, o almeno non gli abbia reso giustizia: è il caso, ad esempio, di Il cacciatore di aquiloni (l’opera di Marc Forster è solo una pallida immagine del romanzo di Khaled Hosseini); a volte film e libro si equivalgono, ambedue validi e di grande spessore (si pensi al The Hours di Stephen Daldry, degno del capolavoro di Michael Cunningam); raramente si ha addirittura l’impressione che il film superi il romanzo (a molti La ragazza di Bube di Luigi Comencini è sembrato superiore all’opera di Carlo Cassola).
Questo Scontro di civiltà per un ascensore in Piazza Vittorio, che Isotta Toso ha tratto dal romanzo di Amara Lakhous, rientra nella prima categoria. Chi ha letto il libro non può non rimanervi deluso. Non vi ritroverà la particolare atmosfera che avvolgeva l’opera letteraria, né l’arguzia, il brio,l’ironia, la vivacità. Lo stesso intreccio «giallo» che nel romanzo era parte essenziale, nel film appare quasi trascurato, una parentesi che se non ci fosse nulla cambierebbe. Per i tanti che si sono giustamente entusiasmati dell’opera dello scrittore algerino il film costituirà un’occasione mancata. Chi però non conosce il romanzo apprezzerà il lavoro della Toso e soprattutto la denuncia del nostro comportamento verso gli immigrati. Probabilmente la regista ha preso lo spunto dal libro per raccontare ciò che maggiormente le interessa: le condizioni, spesso terribili, degli stranieri non regolarizzati che vivono in Italia, la nostra -spesso ingiusta- diffidenza nei loro riguardi, l’incongruenza di leggi e ordinanze che di certo non favoriscono l’integrazione. Da questo punto di vista il lavoro cinematografico può dirsi riuscito e meritevole d’essere visto: gli inviti alla tolleranza, alla comprensione e accettazione del «diverso» non guastano mai.
Il film, in quanto film, presenta però alcuni difetti che non si possono tacere. Un’opera corale dovrebbe armonizzare e unificare le varie componenti, tenerle tutte sullo stesso piano: qui invece alcune, inspiegabilmente, prevalgono su altre… spezzando l’unitarietà del racconto. La sceneggiatura non sempre è plausibile (alcuni personaggi sembrano parlare come un libro stampato). La recitazione non è omogenea: Serra Yilmaz, Ahmed Hafiene, Isa Danieli, Milena Vukotic sono da plauso, molto «calati» nei rispetti ruoli; gli altri convincono di meno e Marco Rossetti (nel personaggio del Gladiatore) è decisamente, e fastidiosamente, sopra le righe.