Scorrete lacrime, disse il poliziotto porre in discussione ogni certezza apparente sulla natura stessa della realtà e dell’umanità.

Creato il 23 ottobre 2014 da Rstp

Scorrete lacrime, disse il poliziotto (Flow My Tears, the Policeman Said) è un romanzo di fantascienza di Philip K. Dick.

È stato tradotto per la prima volta in italiano nel 1976 col titolo Episodio temporale da Roberta Rambelli (in seguito è stato ritradotto da Vittorio Curtoni nel 1998 e ancora da Maurizio Nati nel 2007).

Scritto nel 1974, è considerato una delle opere meglio riuscite dell'autore; si distingue per una notevole compattezza della trama, rapida e priva di divagazioni, al cui centro rimangono comunque le ossessioni tipiche di Dick: il controllo sociale, le psicosi, l'incertezza del limite tra realtà e finzione, gli stati alterati di coscienza e l'uso di sostanze psicotrope, la diffidenza verso l'universo femminile.

Il titolo deriva da Flow My Tears, una canzone per liuto e voce di John Dowland, compositore inglese del XVI secolo. L'opera comincia così:

   Flow, my tears, fall from your springs,
   Exiled for ever, let me mourn
   Where night's black bird her sad infamy sings,
   There let me live forlorn.

È stato candidato ad entrambi i maggiori riconoscimenti della letteratura fantascientifica, il Premio Hugo e il Premio Nebula.

Nel quadro dell’industria culturale novecentesca, Philip Dick riesce a sfruttare un genere letterario di nicchia come la fantascienza per proporre scenari distopici, apocalittici, sempre estremamente critici nei confronti della società. In un contesto storico e culturale in cui la filosofia, che dovrebbe farsi carico della responsabilità della critica e costituire l’avanguardia della rivolta culturale, si disinteressa invece dell’ambito sociale, laddove storicamente le teorie proposte dalla Scuola di Francoforte non hanno seguito in ambito accademico, è nella narrativa che si colloca il germe della critica sociale.

Philip Dick raccoglie la sfida del suo tempo mettendo in scena mondi che cadono a pezzi, certezze che crollano o svaniscono nel nulla, personaggi inermi di fronte al mondo eppure capaci, in qualche modo, di salvarsi appellandosi proprio alla loro fragile umanità.

Le vicende si situano nel 1988, quattordici anni dopo la pubblicazione del volume. Si intuisce, da riferimenti mai espliciti, l'esistenza di uno stato di polizia che controlla tutto il pianeta in seguito a una sorta di grande guerra: la popolazione è suddivisa in caste genetiche; gli studenti, percepiti come pericolo sociale, sono rinchiusi nelle loro università a morir di fame; i sovversivi vengono mandati in campi di concentramento, sottoposti ai lavori forzati.

Il protagonista, Jason Taverner, in possesso di un codice genetico potenziato, è il cantante e il conduttore di uno show televisivo di risonanza mondiale. In seguito a uno scontro con una sua ex amante, si ritrova in ospedale e, quindi, privo di coscienza, in un albergo di infima categoria. Nonostante sia in possesso della sua memoria, la sua esistenza sembra essere stata cancellata dal mondo: nessuno si ricorda di lui, è privo di documenti, e non esiste su tutto il pianeta una sola traccia del suo passato sino al giorno prima. In particolare, mancano i suoi dati negli archivi statali e di polizia: rischia così di essere arrestato e imprigionato in qualunque istante.

Il libro segue i due giorni lungo i quali Jason si muove in bilico tra ricerca e fuga, per recuperare la propria identità e scoprire, in un mondo diventato ormai alieno e ostile, il mistero legato alla propria scomparsa sociale. Mentre le vicende determinano i personaggi più che il contrario, l'autore ne approfitta per mostrare con pessimismo un futuro prossimo dove dietro l'ordine e la legalità di uno stato ferreo e la patina dorata dello spettacolo, si nascondono miseria, corruzione, decadenza e follia.

Gli interrogativi fondamentali di Dick sono due: Che cos’è la realtà e Che cos’è l’uomo. Sono domande legate strettamente tra di loro e alla dinamica soggettivo–oggettivo. Dick parte dal presupposto che ogni essere umano viva in una propria realtà, data dalle proprie percezioni. In questo senso il mondo di uno schizofrenico non è meno reale del mondo di una persona considerata sana di mente, l’unico problema si ravvisa nell’incapacità di comunicare. Se uno schizofrenico potesse mostrarci chiaramente il modo in cui vede il mondo sarebbe possibile che riuscisse a convincerci di avere ragione. Quindi abbiamo da una parte una pluralità di mondi tutti ugualmente reali, dall’altra una pluralità di soggetti che creano o interpretano questi mondi.


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