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"SCOTT PILGRIM vs THE WORLD" un film di Edgar Wright

Creato il 14 febbraio 2011 da Peterpasquer
Dopo “Juno” e “Nick e Nora: tutto accade in una notte”, questo è il terzo film che vede Michael Cera alle prese con un personaggio “nerd” appassionato di musica. Scott Pilgrim, personaggio reso famoso dall'omonimo graphic-novel di Bryan Lee O'Malley, esordisce sul grande schermo per mano di Edgar Wright, già regista del fortunato “L'alba dei morti dementi”. Il risultato è un film pirotecnico, coloratissimo, carico di effetti grafici ma piuttosto debole sul piano della costruzione drammaturgica. Insomma, tanto rumore per nulla. Scott Pilgrim, ventiduenne, bassista della band Sex Bomb-Omb, da quando è stato abbandonato da Natalie (nel frattempo trasformatasi in una cantante di successo), vive una crisi sentimentale che tenta di arginare uscendo con Knives, una liceale di origini asiatiche. La relazione tra i due, già messa in crisi dalla perplessità degli amici di Scott, precipita quando l'incontro con Ramona – la misteriosa ragazza dai capelli colorati che appare solo nei suoi sogni – si realizza davvero facendogli perdere la testa. Chiusa la storia con Knives, Scott allora far tutto il possibile pur di conquistare il cuore della ragazza dei suoi sogni. Anche a costo di battersi contro tutti i suoi sette malvagi ex. 
Che il cinema americano, specie negli ultimi anni, abbia attinto al mondo dei fumetti per sopperire a una preoccupante mancanza di idee, di storie da raccontare, è cosa ormai sotto gli occhi di tutti. L'allarme rischia però di farsi assordante quando oltre ai personaggi e alle trame, il cinema comincia a rubare ai fumetti persino il linguaggio. Attenzione, la mia non è una presa di posizione bacchettona, da “purista” che vorrebbe divenisse dogma intoccabile un certo modo di raccontare classico. Me ne guarderei bene. Nemmeno rivendico una gerarchizzazione dei linguaggi per cui dovrebbe essere il fumetto a “prendere” dal cinema e non viceversa. Il fumetto, per fortuna, ha conosciuto nel corso degli anni un'evoluzione anche a prescindere dalle arti di riferimento – pittura, letteratura, cinema – facendosi portatore di un linguaggio capace di parlare al mondo e del mondo, pur mantenendo vivo e costante il dialogo con tali espressioni artistiche. Da qui il ribaltamento prospettico per cui, ad esempio, se prima era il cinema ad ispirare il fumetto ora è proprio il cinema a trovare nel fumetto la sua ispirazione. Ispirazione che, si badi, dovrebbe entrare sempre nell'ottica di una contaminazione, di un'integrazione, ossia di un arricchimento che non sfoci mai nella regressione o svilimento del linguaggio “ospitante”, in questo caso quello cinematografico. In “Scott Pilgrim vs The World” non credo si sia andati in questa direzione. 
Se la prima parte promette molto col suo stile accattivante, fatto di gag e personaggi naif comunque ben tratteggiati, è nella seconda metà – allorché la necessità di spingere in avanti la storia si fa più pressante – che si registrano i maggiori difetti. Il film, rispondendo sempre più a una struttura narrativa volutamente ricalcata su quella del videogame in stile beat 'em up (Scott Pilgrim è anche un gioco per computer) dà vita a un racconto se non prevedibile quanto meno schematico. L'impatto visivo fatto di split-screen, emoticon, ralenti e accelerazioni, così come il ricorso ossessivo agli stilemi del fumetto di O'Malley (di per sé un ibrido, metà manga metà comics con riferimento ai superheroes) accentra su di sé l'attenzione dello spettatore che si ritrova ad assistere a una sequenza di avvenimenti la cui connessione, sul piano drammaturgico, è ridotta ai minimi termini. La storia di Scott Pilgrim, nerd alle prese con ambizioni da rockstar e vicende sentimentali che fatica a gestire, è pertanto solo il mero pretesto per dar vita a un videogioco il cui obiettivo finale è la conquista della principessa di turno. I risvolti psicologici del protagonista e il suo rapporto con gli altri, tutti aspetti abbozzati nella prima mezzora del film, vengono ripresi tra un combattimento e l'altro, ma senza il piglio disincantato col quale c'erano stati proposti. Assistiamo cioè a una serie di dialoghi più o meno verbosi, tramite cui veniamo informati circa le scelte dei personaggi in una direzione piuttosto che in un'altra. Gli stessi “cattivi” affrontati da Scott in duello, rappresentano meri ostacoli monodimensionali utili per salire di grado e accedere al livello successivo, in una logica da videogame che prende sempre più il sopravvento con la sua sfilza di scritte onomatopeiche in sovrimpressione – SLAM! STUDD! BANG! – che se all'inizio divertono, alla lunga stancano e annoiano. Già, perché se in una tavola di fumetto lo scopo di simili “scritte” è quello di riprodurre la dinamica di un'azione e, soprattutto, il suono corrispondente, che senso ha riproporle con simile insistenza al cinema? Tra l'altro sommando all'onomatopea la traccia audio corrispondente. Tralasciate quindi alcune trovate divertenti, come le schede pop-up che descrivono i personaggi, “Scott Pilgrim vs The World” scade in un abuso di effetti grafici utili sì a sostenerne l'impianto videoludico di fondo, ma svuotando d'interesse tutto il resto. A tal proposito mi domando che senso ha avuto trasporre cinematograficamente un fumetto/videogame se la missione era quella di mantenerne intatta l'estetica? Cosa aggiunge il cinema, sul piano linguistico, al racconto di Scott Pilgrim? Dov'è lo scarto evidente tra questo e quel linguaggio? 

Va bene il postmoderno con l'approccio ludico, il pastiche, la parodia e quant'altro, purché i vari registri si risolvano l'uno nell'altro senza produrre scompensi sul piano narrativo (se l'intenzione è ovviamente quella di raccontare, come in questo caso, il percorso formativo di un “eroe). Nel film di Wright i due linguaggi protagonisti, quello cinematografico e quello del videogame, non riescono mai a dialogare. Il secondo prevarica sul primo e il primo resta a guardare. Il videogame è fondato sull'interazione; io muovo un Avatar e affronto con lui degli ostacoli, “passo gli schemi”. Davanti a un film che adotta senza contromisure la logica del videogame lo spettatore rimane frustrato perché vede scorrere innanzi a sé un gioco che non può controllare. La narrazione così codificata colpisce solo grazie all'uso degli effetti grafici ma non coinvolge. La reazione è quella del ragazzino che, guardando un videogame giocato da altri, sbotta urlando: “datemi un joypad!”

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