Magazine Sport

Scozia, il punto dopo i viagogo Test Match. Un autunno dolciastro con vista sul 6 Nations

Creato il 26 novembre 2013 da Soloteo1980 @soloteo1980
IMG_2830

L’arcobaleno sul Murrayfield prima di Scozia-Giappone

Martedì 22 ottobre, presso una delle “1925 suites” del Murrayfield Stadium, la casa del rugby scozzese, l’head coach ad interim della nazionale del cardo, l’australiano Scott Johnson, ha annunciato ai media presenti il gruppo che avrebbe preso parte agli ormai imminenti test match autunnali. Fino ad allora, i pensieri di tutti, e non solo degli addetti ai lavori, erano riservati ai Club, al Pro12 con i Glasgow Warriors ancora imbattuti ed Edinburgh che, lentamente, stava trovando la sua dimensione sulla via della “Solomons Revolution”, ma soprattutto alla Heineken Cup, la massima competizione per club in Europa e, fatte le dovute proporzioni e con tutto il rispetto per il Super Rugby, al mondo. Qui, lo scorso anno le due squadre scozzesi avevano fatto, globalmente, male, con i Warriors che avevano almeno salvato l’onore, battendo i Northampton Saints nell’ultima gara del girone, mentre i “cugini” di Edinburgh, ancora guidati dall’irlandese Michael Bradley, erano riusciti nell’impresa di chiudere la fase a gironi a zero punti, perdendo sei incontri su sei.

Anche la Scozia, nella scorsa stagione, era andata malissimo; nonostante i buoni risultati ottenuti nel tour estivo, tra cui la rocambolesca ma pur sempre prestigiosa vittoria contro i Wallabies in Australia, grazie al piede del capitano di Edinburgh, il mediano di mischia Greig Laidlaw che aveva trovato la freddezza, sotto il nubifragio che aveva flagellato i trenta in campo a Newcastle, per calciare tra i pali una punizione a tempo scaduto, gli impegni autunnali avevano riportato il gruppo coi piedi per terra. Prima la sconfitta contro gli All Blacks, in un Murrayfield esaurito, nel Remembrance Sunday, poi la dura lezione di pratica subita per mano degli Springboks, per chiudere, nel gelo del “Pittodrie” di Aberdeen, con l’umiliazione inflitta da Tonga, capace di sconfiggere la Scozia pur giocando, in totale, mezz’ora con l’uomo in meno.

La sconfitta contro i pacifici aveva portato l’head coach Andy Robinson a rassegnare le dimissioni, irrevocabili, e i Blues si sono ritrovati, a pochi mesi dal 6 Nations, senza una guida e, di fatto, con un gruppo da ricostruire.

Insomma, il compito che attende Scott Johnson è davvero difficile, ma l’avvio è incoraggiante. L’australiano lavora molto sulla psiche dei giocatori, ha il sostegno incondizionato della SRU e comincia, evitando rivoluzioni fine a se stesse, a ricostruire la fiducia dei giocatori. La Scozia si comporta bene nel Championship, battendo Italia e Irlanda in casa e chiudendo al terzo posto finale, uno dei migliori risultati degli ultimi anni. Il gioco espresso, tuttavia, non entusiasma e tolta la vittoria contro gli Azzurri, che hanno regalato almeno due mete, nelle altre gare la Scozia stenta ad imporre i propri schemi, rifugiandosi troppo spesso al piede dei propri calciatori e soprattutto faticando moltissimo per guadagnare terreno (le statistiche sul territorio, a proposito, saranno impietose). La stagione si chiudeva con il tour dei B&I Lions in Australia e le scelte dell’head coach, Warren Gatland, avevano visto solo tre scozzesi convocati nel gruppo che, down under, avrebbe battuto i Wallabies. Tuttavia, anche la tournee estiva in Sud Africa, a ranghi praticamente completi, aveva dato buone indicazioni e la vittoria contro Italia (stavolta per un solo punto in una gara apertissima fino alla fine), la sconfitta contro i Boks padroni di casa, arrivata solo negli ultimi minuti e con l’uomo in meno, avevano fatto pensare a molti che il viaggio verso la Coppa del Mondo del 2015 si aprisse sotto i migliori auspici. Certo, perdere contro Samoa aveva lasciato l’amaro in bocca, ma le buone prestazioni contro Azzurri e Boks avevano cancellato quell’onta.

Quando Johnson annuncia il gruppo, appunto, le attese di tutti sono alte. Si parla di impegni alla portata, si comincia a pregustare un finale di annata in crescendo, si inizia a respirare un’aria diversa, di fiducia, dopo qualche mese passato a leccarsi le ferite. Le basi su cui costruire sembrano solide, gli avversari sono “tosti” ma, in un crescendo di difficoltà, Giappone, Sud Africa e soprattutto Australia sembrano battibili.

A guardare bene i nomi, però, cominciano a sorgere le prime perplessità; gli avanti sono “sempre gli stessi”, non c’è grande profondità in un reparto che, per il gioco espresso dalla Scozia, è assolutamente strategico, e la chiamata nella nazionale italiana di Tommaso Allan fa davvero scalpore. Non si capisce, infatti, come la Scozia si possa essere fatta scappare il giovane talento italo-scozzese, che ha vestito la maglia dei Blues fino alla Under20 ma che Brunel, con un grande lavoro di “intelligence”, ha saputo convincere il talento di Perpignan ad accettare la convocazione con gli Azzurri. Soprattuto in ruolo, quello dell’apertura, dove la Scozia è tutt’altro che coperta, con i soli Duncan Weir e Ruaridh Jackson disponibili, visto che Tom Heathcote, che fatica a trovare spazio a Bath, non sembra aver convinto l’head coach. Che, per mettere subito le cose in chiaro, afferma senza troppi giri di parole: “Voglio essere chiaro. Tutti dovranno guadagnarsi il posto in questa squadra, nessuno avrà la maglia per diritti acquisiti e, qualora un giocatore performasse sotto le aspettative che tutti noi abbiamo, potrebbe aver giocato il suo ultimo incontro con la Scozia. Faremo qualche esperimento, valuteremo qualche nuova soluzione, ma in sostanza posso dire che oggi ci imbarchiamo nel viaggio verso la prossima Coppa del Mondo e lavoreremo giorno e notte in funzione del nostro obiettivo finale”.

IMG_2831

Scozia-Giappone, official match programme

I primi problemi arrivano dagli infortuni, con Tim Visser che si rompe il perone nel match contro il Benetton Treviso, Stuart Hogg, l’estremo dei Warriors, che non ha recuperato dall’infortunio al polso rimediato in settembre contro Leinster e Peter Horne a casa col crociato rotto, in una gara di RBS Premiership, il campionato domestico scozzese, giocata come permit player con la maglia dello Stirling County. Poi ci si mette anche il “pasticciaccio brutto” di una serata stupida, in cui, tra gli altri, Ryan Grant e Sean Maitland sono coinvolti in un fatto di cronaca che avrà sviluppi giudiziari, a minare la tranquillità del gruppo. Le settimane che portano all’esordio della serie autunnale, in programma sabato 9 novembre alle 2.30pm contro il Giappone, scorrono così abbastanza velocemente e quando arriva il giorno della partita la Scozia sente di dover dimostrare qualcosa. Kelly Brown, il flanker dei Saracens, è stato confermato capitano e guida i Blues in campo, davanti a poco meno di trentacinquemila spettatori e contro un avversario che, negli ultimi mesi, è cresciuto esponenzialmente. Il Giappone, infatti, sta lavorando duramente per essere competitivo nella World Cup del 2019, che organizzerà, e in estate è stato capace di battere il Galles a Tokyo. Nel primo tempo la partita è abbastanza noiosa, con entrambe le squadre bloccate, e si va a riposo sull’11-3 per la Scozia. Nella ripresa, però, la gara decolla e, anche grazie a difese tutt’altro che perfette, il tabellino s’ingrossa. Si registreranno, alla fine, ben otto mete, sei marcate dalla Scozia e due dal Giappone, con la promettente ala Fukuoka, ma i Blues aumenteranno il bottino solo negli ultimi venti minuti, quando il terza centro nipponico, Koliniasi Holani, si prende un cartellino giallo per un’irregolarità nei propri 22m. Gli ospiti non riescono più a riprendersi, mentre la Scozia approfitta per mettersi in cascina punti, marcature e morale, fino al 42-17 finale.

Nel complesso, però, la prestazione dei Blues è tutt’altro che entusiasmante; troppi errori in fase difensiva, molti errori in fase di impostazione, con l’apertura Jackson che sbaglia più del lecito e il prossimo impegno, contro il Sud Africa che, il giorno seguente, avrebbe sconfitto senza appello il Galles al Millennium Stadium, adesso fa più paura.

Quando il mercoledì precedente la gara Scott Johnson annuncia la formazione, si scopre che, oltre al cambio forzato al centro, con l’infortunato Matt Scott sostituito da Duncan Taylor, anche capitan Brown è stato lasciato a riposo e il compito di guidare la squadra domenica 17 novembre spetterà a Greig Laidlaw. Spazio a Strokosch e Barclay, quindi, con David Denton unica conferma in terza linea, in un match che si prospetta una vera e propria battaglia fisica, dove il predominio nelle fasi statiche sarà il discrimine tra vittoria e sconfitta. Gli Springboks, dal canto loro, arrivano in Scozia con la consapevolezza di non dover dimostrare nulla, dopo un ottimo Rugby Championship e con un gruppo solido, completo e competitivo. Heyneke Meyer, il loro head coach, è persona pragmatica che, alla vigilia della tournée autunnale, ha così espresso il suo pensiero: “    “. Nessun cambio, nessun turnover, gioca chi è pronto e per Meyer il suo gruppo, dopo soli sei giorni, è riposato e preparato, fisicamente e mentalmente, per sfidare la Scozia nella “Highland Cathedral”. Ci sono quasi cinquantamila spettatori al Murrayfield, ottomila in meno rispetto allo stesso match dello scorso anno ma l’atmosfera è comunque quella del grande incontro. Il prepartita scorre veloce, nella giornata dedicata alle Forze Armate Britanniche, cui è affidato anche l’incarico di gestire le pratiche degli inni nazionali e della consegna dell’ovale, con un membro dei Royal Marines che si cala dal tetto poco sopra il West Stand prima di andare a consegnare la palla al direttore di gara. E’ una gara per ‘guerrieri’, come le premesse della settimana avevano fatto pregustare, ma a scendere in campo è una squadra sola. Gli Springboks sono i padroni del match e la Scozia, che oggi gioca con la seconda maglia, bianca, fa da triste spettatore allo spettacolo dei Bokke. Il primo tempo si chiude 0-21 e nel secondo tempo ci sarà spazio ancora per una sola marcatura, la quarta degli ospiti, che fissa il risultato sull pesantissimo 0-28 finale. In sala stampa dopo la gara la faccia di Scott Johnson parla più di quanto l’head coach non faccia, resistendo seduto sulla sua sedia meno di cinque minuti e non essendo in grado di spiegare una prestazione così deludente dei suoi. Meyer, invece, si coccola risultato e prestazione, riuscendo anche ad avere parole per le condizioni climatiche che “non ci hanno favorito, con la pioggia costante per almeno un’ora, ma del resto la prossima Coppa del Mondo si giocherà con questo clima e possiamo dire di aver avuto un assaggio di quello che ci attenderà”, rubando la scena anche al proprio capitano, Jean De Villiers, che si tratterrà invece nelle one-on-one per un’altra mezz’ora.

IMG_2836

Le squadre schierate prima degli inni nazionali, Scozia-Giappone

I segnali di questa sconfitta si erano visti come abbiamo detto, già negli errori commessi nel primo test match ma la vittoria e il risultato eclatante avevano ingannato e nascosto le difficoltà, che i Boks hanno saputo, impietosamente, esporre alla luce. Con queste premesse, l’ultima gara contro l’Australia assume i connotati di una sorta di finale, con la Scozia che si gioca il giudizio sull’annata in ottanta minuti contro i Wallabies, anch’essi reduci da una stagione contraddittoria, dopo la sconfitta subita contro i Lions, il Rugby Championship perso, il cambio alla guida, con Deans sostituito da Ewan McKenzie. La bella vittoria a Dublino, dopo il passo falso di Twickenham in avvio, che segue il facile successo sugli Azzurri a Torino, mettono l’Australia nelle condizioni di giocare al Murrayfield con la possibilità concreta di fare risultato e costruirsi una mini-serie positiva, in vista del match clou del loro tour, la ‘rivincita’ contro il Galles in programma a Cardiff a fine novembre.

E’ una vera e propria battaglia, almeno nel primo tempo, quella inscenata dalle due squadre, che sembrano avere un conto in sospeso. I raggruppamenti sono teatro di scontri duri e aspri e il clima in generale che si respira allo stadio è quello di una grande tensione. Eppure, il prepartita è stato splendido, con un’atmosfera surreale creata da notevoli giochi di luce, con il buio trafitto solo dalla luce dei telefoni cellulari, come ad un concerto, con i giocatori che scendono in campo illuminati da un fascio di luce, fuochi d’artificio, musica, gli inni nazionali cantati a squarciagola.

IMG_3012

Scozia-Australia, lo spettacolo di luci in un Murrayfield insolitamente buio

Appena Quade Cooper, però, si incarica di battere il calcio d’inizio, lo scenario cambia completamente. Il clima in campo condiziona quello sugli spalti, e si comincia a fischiare i calci di punizione, anziché rispettare il consueto ‘religioso’ silenzio, con lo speaker costretto più volte a richiamare all’ordine gli spettatori. Il primo tempo è teso, tesissimo, e si chiude con i Wallabies avanti di un punto, 12-13, grazie alla meta di Israel Folau. Nella ripresa gli animi si scaldano ancora, con gli Aussies che prima marcano la seconda meta del match al termine di una bella giocata al largo finalizzata dal centro Feautia-Sautia, e poco dopo restano con l’uomo in meno, quando Simmons si fa pescare mentre rifila due pugni al pilone destro scozzese Moray Low. In settimana McKenzie aveva lasciato fuori dalle convocazioni cinque titolari contro l’Irlanda per una “notte brava” a Dublino ma, evidentemente, lo spirito ‘bollente’ dei Wallabies non è stato intaccato.

La Scozia non riesce mai ad andare oltre la linea di meta, nonostante crei qualche occasione, la più clamorosa delle quali vede un intercetto di Beattie che innesca la fuga di Maitland; l’estremo serve Lamont in sostegno ma l’ala dei Warriors non ha la forza per andare in meta, facendosi fermare dalla difesa australiana a pochi centimetri dalla marcatura. Nel complesso, però, i Blues meritano la sconfitta, perché non sono mai apparsi in grado di creare giocate pericolose, di dare spazio alla fantasia ed essendo troppo poco concreti in fase realizzativa.

Adesso, il pensiero di tutti torna alla Heineken Cup, ma Jonno sta già guardando al prossimo 6 Nations. L’esordio di Dublino, contro l’Irlanda di Brian O’Driscoll, all’ultimo Championship della sua straordinaria carriera, fa paura. Il gruppo su cui contare, salvo impreviste e sconsigliate rivoluzioni, sarà lo stesso che non ha impressionato in autunno. L’obiettivo, fare bene. Meglio dello scorso anno, però, sarà davvero difficile.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :