Gli ultimi sondaggi parlano di un leggero vantaggio del ‘no’ sul ‘sì’: il Daily Telegraph parla del 52% a favore degli unionisti, contro il 48% degli indipendentisti, escludendo gli astenuti. Stessi risultati riportano un sondaggio Icm pubblicato sulla Scotsman e un altro fatto da Survation per conto del Daily Mail. Alex Salmond, leader indipendentista, scrive così in una lettera aperta agli scozzesi: “Facciamolo. Lo spazio per le parole è quasi esaurito. Restiamo noi, la gente che vive e lavora qui. Gli unici che votano, coloro che contano. Il futuro della Scozia, il nostro paese, è nelle nostre mani”.
Ma quali sarebbero le conseguenze di un’ eventuale secessione della Scozia dal Regno Unito in termini economici, di politica interna e politica estera? Se il “sì” vincesse le elezioni del 18 settembre, la Scozia proporrà il 24 marzo 2016 – 309 anni esatti dalla firma dell’Union Act con Londra, nel 1707 – come data ufficiale della proclamazione d’indipendenza. Oltretutto, i 18 mesi di “transizione” tra referendum e indipendenza effettiva sarebbero necessari per creare una nuova costituzione e stabilire i nuovi rapporti con la Gb e con l’Ue. Il 5 maggio 2016 si terrebbero poi le prime elezioni parlamentari del nuovo stato scozzese.
Una delle questioni più urgenti da risolvere sarebbe quella della moneta da utilizzare nella Scozia indipendente: Edimburgo vorrebbe un’unione monetaria sotto la sterlina con Londra, ma quest’ultima è contraria. La cosa riguarda anche il debito pubblico scozzese, che è di 143 miliardi di sterline sui 1.700 del debito pubblico complessivo della Gb. È quanto riporta il National Institute of Economic and Social Research. Si dovrebbero poi ridiscutere i confini tra Scozia e Inghilterra, specie in materia d’immigrazione, nonché la necessità di usare o meno il passaporto per entrare nella nuova nazione. Quest’ultimo punto dipenderà dal ruolo che la Scozia indipendente avrà nell’Unione europea. Forse, il nuovo stato opterà anche per la rinuncia alla monarchia.
Per quanto concerne Londra, il “distacco” della Scozia metterebbe sotto pressione il premier Cameron, che ha autorizzato il referendum e che ha asserito che non si dimetterà dalla sua carica in ogni caso. Alcuni esperti economici sostengono che la sterlina potrebbe subire un crollo già dalle prime ore dopo la proclamata vittoria del ‘sì’ all’indipendenza.
L’Unione Europea, attraverso una lettera del presidente Barroso, informa che “se la Scozia dovesse diventare uno stato indipendente sarebbe fuori dall’Unione europea. Per rientrarvi dovrebbe presentare la propria candidatura”. A livello europeo, non sono pochi coloro che sono contro la secessione. L’ex premier inglese John Major fa notare che, con la Scozia fuori dal Regno Unito, la Gb perderebbe il seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza Onu. Qualcuno fa però notare che la Russia, dopo la caduta dell’U.R.S.S., mantenne il seggio e il diritto di veto alle Nazioni Unite, e con Londra potrebbe accadere lo stesso. Per quanto riguarda la Scozia, se diventasse uno stato a sé dovrebbe farsi eleggere tra i 10 membri non permanenti con mandato biennale del Consiglio di Sicurezza Onu, per votare in quest’ultimo. E non avrebbe comunque diritto di veto. È una situazione complessa e molto delicata, le cui conseguenze si conosceranno soltanto dopo le votazioni del 18 settembre. L’esito è imprevedibile perché l’opinione pubblica scozzese è davvero “spaccata in 2”.