I Tre Allegri Ragazzi Morti han sempre avuto un posto privilegiato nel cuore di Scribacchina. Ancor prima di quest’intervista, da anni, essi eran per la giovine eccelsi poeti, cantori delle difficoltà dell’anima, delicati chirurghi che con attento lavoro di bisturi separano luci ed ombre, tristezze e felicità.
Debbo dirvelo, soliti lettori? Quando si prospettò la possibilità d’intervistare il Davide Toffolo (frontman degl’Allegri Giovini Defunti nonché valido fumettista) andai in brodo di giuggiole; fatalità, in quel periodo avevo appena rispolverato dalla pila cd il loro bell’album Mostri e Normali. Gl’affiancai volentieri l’EP che m’inviarono per la recensione e mi preparai psicologicamente per il grande incontro, fissato in occasione d’un loro concerto al Live Club di Trezzo sull’Adda.
Quando lo incontrai, il Toffolo? Prima o dopo il concerto?
Inutile forzare la memoria, non ricordo; ricordo però chiaramente la location dell’intervista: una sorta di camerino improvvisato proprio dietro il palco. Il Giovine si fece attendere alquanto, almeno almeno un buon quarto d’ora; ad intrattenermi nell’attesa, gl’altri due giovini defunti, coi quali curiosamente parlai di tutto tranne che di musica.
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Dicembre 2000
In occasione dell’ultimo concerto della stagione per i Tre Allegri Ragazzi Morti (tenutosi venerdì scorso 24 dicembre al Live di Trezzo sull’Adda) ho incontrato Davide Toffolo, disegnatore di fumetti e voce della band.
‑ Davide, è nato prima il progetto editoriale Fandango (del quale ti occupi in veste di ideatore/disegnatore) o il progetto musicale Tre Allegri Ragazzi Morti?
“Fandango è nato dopo il gruppo, anche se le storie dei ragazzi morti esistevano da parecchio tempo. Sono un po’ la mitologia dell’adolescente assoluto, dalla quale il gruppo attinge. Due esperienze che viaggiano parallele, mai coincidenti”.
‑ E il vostro futuro, come lo vedi? Sarete ancora dei ragazzi morti o diventerete degli uomini morti?
“La condizione dell’adolescente assoluto è questa: se muori adolescente, resti adolescente per tutta la vita. Quindi rimarremo più o meno gli stessi morti di sempre. Il discorso dei nostri dischi, invece, va trattato a parte: le incisioni sono una specie di fotografia di quello che capita in quel momento, e mi è quindi impossibile dire come saranno in futuro”.
‑ Voi Allegri Ragazzi Morti arrivate dal Friuli: in che rapporti siete con i Prozac+, originari della stessa zona geografica?
“Conosco bene Gianmaria (chitarrista dei Prozac+, ndr): suonavamo insieme, avevamo un gruppo. Poi, col tempo, le nostre strade si sono divise; però ogni tanto ci sentiamo ancora”.
‑ Perché avete scelto di coverizzare in italiano, nel vostro album precedente, Ask degli Smiths?
“Il presidente del fan club italiano di Morrissey ci aveva chiesto la cover di un brano degli Smiths, che sarebbe poi stata inserita in un album tributo agli Smiths. Abbiamo scelto Ask, e le abbiamo riservato un trattamento ‘alla Ragazzi Morti’, scavalcando un po’ l’inglese e facendo come negli anni ’60: abbiamo mantenuto il significato senza ricorrere alla traduzione letterale. Alla fine non se ne è fatto più niente, ma la canzone è rimasta”.
‑ E da parte di Morrissey ci sono state reazioni alla vostra Dimmi?
“Beh, è arrivata la delibera a poterla pubblicare, il che non è poco…”.
‑ Ti è mai capitato di ascoltare un brano e pensare: “Caspita, questo l’avrei potuto scrivere io…”?
“Si, mi è capitato spesso. L’ultimo brano in ordine di tempo è quello di Tricarico, dove si parla di una maestra. E’ bellissimo, mi piace questa dimensione un po’ surreale. Figurati che spesso mi piacerebbe essere Marilyn Manson; ma non siamo in America…”.
‑ Che significato attribuite alla maschera che portate?
“Tutti bene o male portiamo una maschera; il significato di quella dei ragazzi morti è doppio: levare il problema di avere una faccia ed essere tutti uguali. Abbiamo sempre immaginato un rapporto paritario tra l’artista e l’ascoltatore, e il modo migliore per rendere vera questa uguaglianza è non avere un volto. Immaginiamo che i ragazzi morti che ci ascoltano siano come noi”.
‑ E non pensate che sia una barriera tra voi e il pubblico, o un modo per nascondervi?
“No… o forse sì, ma per farci accettare soltanto da una parte di pubblico, ragazzi morti come noi. La nostra è una comunicazione volutamente settaria, non diretta a tutti. Non cerchiamo il consenso assoluto, cerchiamo la comunicazione con chi è sulla nostra stessa lunghezza d’onda”.
‑ Parliamo della figura del topo, che è presente anche nel vostro ultimo video Francesca Ha Gli Anni Che Ha.
“Il topo è l’uomo che in una parte dell’immaginario dei ragazzi morti è la cavia, il soggetto sul quale si fanno esperimenti. Per questo il nostro topo è bianco: bianco come l’uomo”.
‑ Una domanda fuori tema: vorrei un tuo parere sul programma‑cult Il Grande Fratello, che in questo periodo è al centro dell’attenzione pubblica.
“Il Grande Fratello è come quelle cose che non puoi fare a meno di ascoltare, come la musica che propinano alla radio. Io penso di non averlo mai visto ma di sapere comunque quasi tutto. Posso dire che come esperimento di comunicazione, immaginando gli uomini come topi, forse non è male… Personalmente, però, non nutro un forte interesse per questo programma”.