"C'è da chiedersi cos'è più scandaloso: se la provocatoria ostinazione dei potenti a restare al potere o l'apolitica passività del paese ad accettare la loro stessa fisica presenza".
Certo i giovani di ieri sono i padri, o forse i nonni, di oggi; certo la DC non esiste più, come non esiste più il PCI che all'epoca fece tanto sognare, ma la difficoltà del popolo di contare qualcosa, di farsi valere, di non farsi sfruttare, è la stessa. I giovani di oggi, me compresa, non ricordano comizi appassionati di politici innamorati della politica. Io non ho visto bandiere rosse sventolare, non ho sentito Berlinguer parlare, non ho mai cantato in coro "Bandiera rossa", al massimo ho scritto qualche striscione per le manifestazioni del liceo, al massimo ho sventolato una bandiera della pace. Molti non hanno fatto neanche questo, per la maggior parte della popolazione studentesca valeva l'ugualianza manifestazione uguale stare a casa a dormire fino alle dieci. C'era chi al liceo non sapeva neanche associare i nomi alla loro ala politica di appartenenza, chi se ne fregava, chi dava il voto al partito che aveva dato un posto al padre. A me tutto questo ha sempre fatto un profondo schifo, nonostante nemmeno io sia un'attivista politica o una che ci capisce chissà quanto. Non ho tessere, ma so benissimo chi voglio votare. In questo momento c'è solo un uomo che riesce a darmi l'idea di un modo di fare politica diverso, Nichi Vendola. Io voterò lui, se potrò farlo. Altrimenti mi accontenterò del più antiBerlusconi che troverò sulla scheda elettorale. Ho scoperto che Vendola ha scritto la sua tesi di laurea proprio su Pasolini, su uno dei miei autori preferiti, che al liceo neanche avevamo fatto. Trovo che sia un peccato soffermarsi tanto su autori che molto spesso non ti lasciano dentro niente, mentre personalità come Pasolini o Montale si sfiorano solamente, se va bene. Parlo per me, è chiaro. Ho letto poco tempo fa "Scritti corsari", lentamente, cercando di capire ogni parola. Ho trovato i suoi pensieri impeccabili, mi sono trovata a condividere molte delle sue opinioni. Pasolini parla provocatoriamente di una continuità tra la dittatura fascista e il governo democristiano del dopoguerra, che lui stesso definisce un regime poliziesco parlamentare, sorretto dai voti di un popolo di campagna asservito ai preti. È proprio grazie a queste masse cattoliche che la DC, nel suo trentennio, ha potuto sempre sfoggiare una larga maggioranza, che le ha permesso una parvenza di democrazia, che disonestamente la DC usava come prova di dissociazione dal fascismo. Quelli in cui milita Pasolini sono gli anni delle grandi trasformazioni sociali, gli anni in cui l'edonismo è diventato la nuova religione, gli anni del consumismo, della distruzione del singolo, per sua natura contraddittorio e inconciliabile con le esigenze del consumo; sono gli anni dell'uomo-massa. Se nell'URSS l'uniformità era data da una lotta che partì dal basso per eliminare le differenze di classe, in Italia l'uniformità è imposta dal potere, sia dal potere politico che dal più forte potere del consumo. Nell'ansiosa volontà di uniformarsi ognuno perde la propria unicità, ieri come oggi. Pasolini fa in tempo anche ad accorgersi di quanto anche la tv, seppure ancora molto giovane, sia già prepotentemente entrata nella vita delle famiglie: il tipo di uomo o di donna che conta, scrive, che è moderno, che è da imitare e da realizzare, non è descritto o decantato: è rappresentato! Il popolo insomma non è più quello di un tempo, sta perdendo la sua fede, tutto a un tratto smette di essere bigotto. La chiesa tace il cambiamento e continua a camminare come ha sempre fatto, d'altra parte, scrive ancora Pasolini, da molto tempo i cattolici hanno dimenticato di essere cristiani. Solo nel 1974 Paolo VI decide di togliere la maschera e di dichiarare che ormai la chiesa è stata superata dal mondo e si trova in disparte, con un ruolo del tutto superfluo e irrilevante. Solo nell'attimo di quel discorso il papa di quegli anni trova il coraggio per essere sincero, un minuto dopo sta recitando di nuovo. Pasolini è un uomo solo, come è solo ogni uomo che non si uniforma, come è solo ogni uomo che pensa. Chi pensa è reo, scrive in uno dei suoi articoli, definendosi anche il resto di un rogo in cui avrebbero voluto bruciare le sue idee. Ma le idee non bruciano. Le idee restano, rimangono impresse nella carta stampata, superano anche la morte, danno nuova vita a chi avrà voglia di conoscerle e di pensarci un po' su.
Ho sempre pensato, come qualsiasi persona normale, che dietro a chi scrive ci debba essere necessità di scrivere, libertà, autenticità, rischio. Pensare che ci debba essere qualcosa di sociale e ufficiale che "fissi" l'autorevolezza di qualcuno, è un pensiero, appunto, aberrante, dovuto evidentemente alla deformazione di chi non sappia più concepire verità al di fuori dell'autorità. Io non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza se non quella che mi proviene dal non averla e dal non averla voluta; dall'essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non essere fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io considero del resto degno di ogni più scandalosa ricerca.P.Paolo Pasolini