[Articolo pubblicato nella Webzine Sul Romanzo n. 2/2013, La difficoltà dell'inizio. Il coraggio del primo passo]
«You cant’t judge a book by its cover»1: a volte, è tragicamente vero che non si può giudicare un libro dalla copertina, ma, altre volte, lo è in senso opposto rispetto a quello inteso dal proverbio: se questo ricorda di non essere frettolosi nel giudizio, di frenare le maldicenze, di essere, insomma, aperti all’altro e all’accoglienza di quanto di buono si possa celare al di là di una forma fuorviante, spesso, all’atto pratico, è un aspetto invitante (una bella copertina) a dover essere guardato con sospetto. E in campo editoriale le copertine sono, in effetti, un elemento oltre il quale, in molti casi, ci aspettano disinganno e delusione.
Ci sono due libri, in particolare, che di recente hanno deluso le aspettative che copertina e promozione avevano alimentato: L’inconfondibile tristezza della torta al limone di Aimee Bender (trad. di Damiano Abeni e Moira Egan, Minimum Fax, 2011) e Ritratto di una famiglia con superpoteri di Steven Amsterdam (trad. di Anna Mioni, ISBN edizioni, 2012). In entrambi i casi, a contribuire all’aspettativa sono stati fattori che provenivano ben lungi dalla copertina: questa era l’epifenomeno di un lavoro di costruzione del (mio) consenso che le rispettive case editrici avevano intrapreso molto prima di pubblicare i due testi. La credibilità di una casa editrice è già parte del packaging del testo. Le copertine, poi, frutto dello studio di una linea editoriale in generale, di una linea di collana in particolare, dell’operosità di grafici e redattori e correttori di bozze, sono il fenomeno, l’estrinsecazione della noumenica attività editoriale di progettazione, oltre che di scelte, dubbi e strategie.
La comunicazione dei singoli prodotti-libro, la coccola redazionale della stesura di alette e quarte (e la peculiare introduzione iessebienniana delle scritte sul piatto), è solo l’ultimo anello di una catena di azioni volte a far sì che il libro sia giudicato anche dalla copertina.
Perché i due libri di Amsterdam e Bender deludono così clamorosamente le aspettative create?
Ritratto di una famiglia con superpoteri:
• titolo già potentemente orientato alla creazione di aspettativa su un romanzo fra la fantascienza e il realismo magico, cucinati in salsa supereroica: fantascienza sì, ma in un mondo non troppo diverso dal nostro, e realismo magico sì, ma con qualche spiegazione scientifica, magari;
• informazioni in copertina decisamente a supporto della titolazione: «è un romanzo di personaggi straordinari», «una famiglia indimenticabile»; sul retro la descrizione dei superpoteri dei personaggi (sarà davvero come X-Men romanzato? Avrà qualcosa di Watchmen?);
L’inconfondibile tristezza della torta al limone:
• in questo caso, è l’aletta a dare istruzioni di lettura: «Alla vigilia del suo nono compleanno, la timida Rose Eldestein scopre improvvisamente di avere uno strano dono [...]»; poi, dal «San Francisco Chronicle»: «Pochi scrittori riescono altrettanto bene a mescolare in maniera fluida la magia con la quotidianità».
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