sottofondo: Nino Rota – Waltz
Oggi mi piacerebbe continuare il discorso avviato l’altra volta con il post Sull’urbanizzazione della mia vita e della mia scrittura. L’ispirazione per questa specie di continuazione me la diede, il giorno stesso, un mio amico di vecchia data con il suo commento.
In poche parole Filippo mi espose il suo punto di vista, dicendomi che è sì convintissimo che la città sia una forte sorgente di ispirazione, ma che anche i piccoli paesi possono esserlo. Niente di più vero; infatti, se da una parte abbiamo un continuo brulicare di vite umane così eterogenee, ma allo stesso tempo così legate tra di loro da riuscire a formare una metropoli brulicante di vita, dall’altra abbiamo la calma, l’apparente immobilità delle cose, la saggezza dell’esperienza (talvolta pregna d’ignoranza, ma non è detto) e la tranquillità che solo un piccolo paese può donare allo scrittore.
Diciamoci la verità: la vita in paese è migliore di mille volte a quella di città: si respira meno smog, può capitare di rimanere sommersi dal più assoluto silenzio (cosa rarissima in una grande città) e, in definitiva, non siamo circondati da una prigione di palazzi dei quali non riusciamo nemmeno a vedere la punta tanto sono alti. Non avremo tutti gli agi di questo mondo e che una città può offrire, ma con la pace che ci attornia possiamo rilassarci per un attimo, mandare affanculo il mondo e concentrarci solo su noi stessi con molta più facilità.
Per non dire poi della magia che circonda un paese: le leggende, le storie raccontateci dagli anziani, le superstiziose credenze che tutt’ora fanno da padrone per quanto riguarda la vita di tutti i giorni. Mi viene solo da pensare ai vari riti propiziatori (se così si possono chiamare) eseguiti per proteggere il proprio raccolto dalla grandine e dalle condizioni atmosferiche in generale; usanze adottate e tollerate dalla Chiesa, tuttavia aventi le radici nel paganesimo del quale è tutt’ora imbevuta la terra che, come allora, è fonte di sostentamento per chi la lavora.
Tutti i paesini hanno il loro fascino, ma quelli di montagna di certo superano tutti gli altri. Girando per quelle viuzze strette strette, salendo gli innumerevoli gradini, respirando odor di cenere e muschio, sognando il calore dal caminetto di casa e assaporando con l’immaginazione il buon bicchier di vino che attende solo di essere consumato davanti alla suddetta fonte di calore, mi sento ogni volta pervaso da una pace che mi so solo spiegare ripetendomi, ogni volta, che sono a casa; nel mio luogo ideale.
Mentre scrivo mi sembra di sentire il profumo dei pini dei miei boschi, il leggero ticchettio delle gocce d’acqua che cadono dalle foglie, il profumo senza tempo dei pini, la maestosità di questi ultimi e il lieve gorgoglio prodotto da un ruscello, carico d’acqua limpida come nemmeno con il più sofisticato dei depuratori si potrà mai vedere.
Ora ho gli occhi chiusi. Sento il frusciare dei rami, un lontano richiamo di non so che animale, le sommesse risatine degli gnomi e dei folletti che ospitano i miei boschi, sempre protagonisti di qualcheduna delle leggende delle mie parti.
Posso solo dire che ogni volta che mi trovo dalle mie parti le mani partono da sole, il quaderno si apre di sua spontanea volontà. Faccio della scrittura il modo per esprimere la pace interiore che provo anche solo respirando il profumo della montagna. Di certo quello che verrà fuori non sarà un romanzo pulp, per quello c’è sempre la città.
Alla luce di questo posso dire: Filippo… hai senz’altro ragione! E grazie per l'ispirazione ;-)
E.