Nello sport esiste un detto che recita bisogna saper vincere, il cui significato in realtà è semplice: quando sei convinto di avere fatto le cose nella maniera migliore possibile, beh quello è il momento di non fermarsi, anzi è il punto di partenza per fare ancora di più.
Non ti devi mai sentire arrivato e devi tenere sempre presente che nessuno ti regala nulla.
Se pensi di avere fatto tutto per bene e i risultati che sei certo di meritare non arrivano, puoi fare diverse cose: abbandonare il progetto, accusare il sistema, intestardirti sulle stesse cose di sempre, oppure allargare la visuale e cercare di vedere oltre l’orizzonte, il tuo orizzonte.
Dato che, come riportato nella pagina About, Cavalca il tuo orizzonte è il motto di questo blog, vediamo cosa significa.
Il panorama letterario è uno di quelli con più lamentazioni in assoluto.
Le classifiche di vendita dei libri sono stipate di non scrittori (vedi sportivi, cuochi o pseudo tali, gente dello spettacolo, ecc.) e buona parte degli scrittori presenti passano come autori di basso livello (vedi Fabio Volo, Moccia, Dan Brown o la James delle 50 sfumature).
Negli ultimi anni si è diffuso il fenomeno del self-publishing e con l’avvento di internet esiste oggi pure la possibilità di comprarsi like e recensioni positive per distinguersi in maniera artificiale e immeritata dalla massa delle altre pubblicazioni.
Fermo restando il diritto che ha ciascuno di avere la propria opinione, resta da vedere se la lamentazione di moltissime persone in ambito letterario trova poi uno sbocco o se sia fine a se stessa.
L’autore emergente o l’aspirante tale, può tranquillamente continuare giorno dopo giorno a rimarcare tutti gli aspetti negativi che riscontra leggendo le classifiche di vendita; può pure sentirsi frustrato e maltrattato per ciò che invece accade a lui, è suo pieno diritto.
Però a cosa porta un tale atteggiamento? Probabilmente a nulla.
Perchè lamentarsi non è una strategia.
Una strategia, ad esempio, è quella di guardarsi attorno e cercare di comprendere quello che altri fanno invece di lamentarsi a loro volta.
Un caso eclatante è quella della urban fiction o street lib o street fiction, fenomeno letterario in voga negli Stati Uniti nell’ultimo decennio.
Si tratta di thriller pulp prevalentemente ambientati nel mondo hip hop che raccontano le travagliate vicende di personaggi che ruotano attorno alle gang, con spacciatori, teppisti, tossici, prostitute scaltre, magnaccia, delinquenti assetati di potere e relative donne dal cuore spezzato.
Roba di serie B direbbero i lamentosi di cui sopra.
Può anche darsi, però relegare tutto un mondo con una semplice battuta e poi continuare a piangersi addosso ritenendo i propri lavori migliori del resto, come dicevo non è una strategia.
Sgombriamo il campo dagli equivoci: gli autori di urban fiction che hanno successo sono molto pochi, ma un libro popolare raggiunge le centomila copie vendute.
Questo nonostante lo stile sia spesso goffo, poco elegante ed eccessivamente descrittivo.
Però le storie sono avvincenti e piene di intrighi, seppur sulla falsariga di autori snobbati dalla critica e dai lamentosi (vedi il solito Dan Brown).
Uno degli autori principale del genere è K’wan Foye il cui agente Marc Gerald dice a chiare lettere:
La urban fiction non è il tipo di letteratura apprezzato dai critici, eppure quei libri sono spesso la ragione principale per cui molte persone che abitualmente non leggono decidono di farlo.
Infatti questo genere ha aperto le porte della letteratura ad una fascia di popolazione che fino a quel momento non si sentiva rappresentata, vale a dire i giovani neri.
Tutti quegli autori si sono autopubblicati, in quanto snobbati dal mondo dell’editoria classica.
Sembra la stessa situazione che lamentano molti autori anche qui da noi, con la differenza che loro non si sono fermati alla lamentela, ma si sono dati da fare.
Come si sono mossi?
Prima di tutto scegliendo bene a quale pubblico rivolgersi, poi autopubblicandosi e infine cercando di vendere i propri libri in qualsiasi posto frequentano dal pubblico potenziale, ovvero non le librerie tradizionali.
Saloni di bellezza, barbieri, bancarelle, negozietti, bar, negozi di alimentari, ecc.
Teri Woods dice che ha venduto un milione e duecentomila copie prima di firmare un contratto a sette cifre con l’editore Hachette.
I coniugi Coleman hanno cominciato vendendo libri in strada dal bagagliaio della loro auto e oggi sono arrivati a oltre i due milioni di copie vendute.
Hanno un metodo di lavoro da catena di montaggio: buttano giù un intreccio con vari punti di svolta, poi scrivono alternandosi nei vari capitoli per una media di cinquemila parole al giorno per trecentotrentacinque giorni all’anno. Risultato un libro ogni tre settimane.
Una macchina da guerra e una fabbrica di soldi.
I denigratori continuano a sparare a zero su questo mondo, però questi autori lavorano duro e alcuni incassano milioni di dollari.
Se pensiamo al mondo di casa nostra potremmo citare Camilleri come autore da decine di titoli e quasi nessuno oggi penserebbe a critiche pesanti nei suoi confronti.
Allora dov’è il punto?
Il punto è che molte di quelle persone erano spacciatori di crack immersi fino al collo in traffici illegali e ad un certo punto hanno trovato una loro dimensione andando ad occupare uno spazio vuoto.
Ergersi a Signor No è molto semplice:
no ai libri di cucina, no ai libri degli sportivi, no ai personaggi dei reality, no agli youtuber, no ai libri distillati, no alle autopubblicazioni, no, no, no, no…
Intanto ci sono altri che hanno capito che il mondo è vario e pieno di possibilità e si danno da fare cercando soddisfazioni seguendo le strade più disparate.
Prendere esempio please.
Lamentarsi non è una strategia.