Bene, grazie, ho ancora tre racconti da scrivere e poi sarà finito. Mi piacerebbe che questa fosse la copertina, ma non c'entra quasi niente e quindi non lo sarà. Oppure mi piacerebbe questa.
Ma volevo dire una cosa. Scrivere è faticoso. Almeno per me. Molto più faticoso che tradurre. Quando traduco lavoro sulle parole e quelle vengono fuori senza sforzo. La trama è già pronta, l'ha scritta qualcun altro. Io devo lavorare "solo" sulla lingua, sul tono, sull'ironia o sulla drammaticità, sull'eleganza o sulla sciatteria da rattoppare un po'. Creo, sì, ma creo lingua, non storie.Quando scrivo è diverso, perché non solo devo lavorare sulla lingua, ma devo anche inventare un mondo, dei caratteri, delle vicende, delle emozioni. Quando ho finito di farlo sono soddisfatta, o quasi soddisfatta, perché quello che ho scritto non mi piace mai fino in fondo, perché quando scrivo sono pignola come quando traduco, ma nella traduzione so quando mi sono avvicinata il più possibile alla perfezione, e nella scrittura no. C'è sempre qualcosa che si può ancora aggiungere o togliere o limare. E così tradurre è per me un lavoro relativamente facile, alla fine della giornata sono stanca ma di una stanchezza tenue, di quelle che passano con una doccia. Scrivere mi stanca molto di più, è come sollevare pesi con la mente. Sento che il mio cervello deve fare uno sforzo fisico, utilizzare muscoli poco allenati, esercitarsi a prevedere, modellare, incastrare, levigare, collegare. E poi per tradurre non ho bisogno di essere dell'umore giusto. Quando traduco entro subito nella storia, nella lingua, mi mimetizzo perfettamente e vesto i panni dell'autore e della sua narrazione. Quando scrivo, invece, i panni sono i miei, e se non mi piacciono devo aspettare che cambino, altrimenti la mancanza di autostima, già normalmente un fattore problematico, diventa paralizzante. In questi casi la traduzione diventa un rifugio sicuro, un posto tranquillo dove mi muovo a mio agio e conosco perfettamente il terreno. Per fortuna posso sempre tornare lì a riprendere sicurezza, prima di uscire di nuovo a esplorare faticosamente il mondo della creatività totale, dove la libertà inebria ma fa anche un po' paura.