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Nel mio lavoro non si può soffrire troppo per la perdita di un paziente, ne va dell'efficacia delle cure da elargire agli altri. Se mi angosciassi per tutto il dolore che vedo, dovrei cambiare mestiere. Anche oggi è accaduto. Ma né io né i miei colleghi abbiamo potuto fermarci: un ultimo saluto per poi occuparci dei malati che stavanoo negli altri letti, con il più confortante dei sorrisi che ci èstato possibile tenere sulla faccia.
Questa paziente era una alla quale avevo offerto i miei libri come parte della cura e forse per questo il realizzarsi di un legame un pò più forte è stato inevitabile. Ripenso alle letture condivise, alle opinioni sui libri preferiti, a quelli che ci consigliavamo l'un l'altra. Provo anche a pensare a ciò che avrei potuto proporre di diverso. Mi viene in mente che abbiamo parlato tanto di lettura, ma mai di scrittura. Credo che invitare i pazienti a scrivere sia parte integrante della Biblioterapia, ma non solo per aiutarli a elaborare il percorso di malattia. Sono convinto che soprattuto per coloro che giungono alla fine della loro vita possa essere utile lasciare, a chi rimane, un'eredità fatta di parole vergate su un foglio, testimonianza di un'immortalità che solo la traccia scritta può garantire. Sarebbe sufficiente suggerire di dettare qualche ricordo, immagini, momenti. Oggi scriviamo pochi biglietti di auguri, più nessuna epistola. Sono convinto che ogni persona dovrebbe avere una scatola con dentro almeno una lettera del proprio innamorato, i pensierini di scuola dei propri figli e i biglietti di auguri dei propri genitori. Ma per fare questo, tutti noi dovremmo iniziare a scrivere (a penna) un po' di più, con la convinzione che carta e penna hanno ancora un valore.
Ciao Fiorella, faremo tesoro di ciò che ci hai insegnato.
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