Oggi pubblichiamo questa “rasserenante” interessante riflessione di Maria Irene Cimmino.
Mi sono spesso chiesta che faccia abbia lo scrittore del libro che sto leggendo, chi stia dietro a questo mare di parole che ho davanti.
E cosa lo abbia portato a scrivere: un incontro, un rimpianto, un evento, un sogno, un amore, un figlio mai avuto, un figlio che non avrebbe dovuto nascere, un dolore acuto e lancinante, una gioia improvvisa, inaspettata, un inganno, che hanno scatenato questa voglia, questa necessità irrinunciabile e incontenibile, una pulsione mai provata prima; è come svegliarsi nel cuore della notte per fare l’amore con chi ti dorme accanto, come un’arsura improvvisa che ti obbliga a cercare l’acqua e non ti disseti mai, è andare incontro ad un vento turbinoso che ti trascina con sé, dove non sai?
Perché lui o lei, con la scrittura, consegna proprio a me un pezzo della sua vita.
Nel momento in cui leggo un libro, si stabilisce un rapporto empatico con colui o colei che sta dall’altra parte.
Che scriva di narrativa, saggistica, appunti di viaggio, eventi catastrofici, di cibo, di vino… nelle pagine si resta intrappolati, resta ferma e cristallizzata una parte di lui o di lei, in continuo dinamismo dialettico: lo scrittore non gela le sue riflessioni sulla pagina, ma le fa rimbalzare sul lettore; le parole non scivolano via, ma sono sospese in un continuo andirivieni. E’ il lettore che deve ora farle proprie e tradurle in pensiero.
Da poche pagine quante cose emergono di colui che le ha scritte: spesso è più di una seduta dal terapeuta. Lo scrittore mi parla e io lo ascolto, nel suo rivelarsi agli altri.
La lettura non deve essere un passatempo, ma un esercizio, una scoperta costante e continua, una ricerca di emozioni, di idee, di confronti.
La lettura inoltre non è un rito collettivo: un quadro, lo si guarda assieme a molte altre persone nello stesso momento; ad un concerto assistiamo in tanti e condividiamo le stesse emozioni contemporaneamente.
Un libro invece lo si legge da soli, in silenzio o in mezzo al frastuono: in metropolitana, in autobus, mentre aspetti un treno, un aereo, in spiaggia. Ma si è pur sempre soli, io e lui, io e lei in una relazione quanto mai intima.
Ma anche la scrittura è un’attività artistica che si consuma in solitudine: come disse una scrittrice inglese per bambini, lo scrivere è l’unica fra le attività artistiche che per comunicare con gli altri ha bisogno della solitudine. Quasi un ossimoro.
Dopo aver letto un libro, lo lascio per giorni, settimane sul comodino o in giro per casa. Lo riprendo, lo tocco, lo apro, lo rileggo, a pezzi, a frasi, per intero. Fisso immagini, pensieri, riflessioni, facezie e loro diventano parte di me, per sempre.
Un libro non solo lascia qualcosa a me ma anche lui si prende qualcosa di me.
Dice Amos Oz nel suo più bel libro “Romanzo d’amore e di tenebra”: i libri non chiedono mai niente, sanno aspettare, sono pazienti. Dopo averli letti, li metti sullo scaffale della libreria e là stanno per anni, decenni. Poi un giorno ti ricordi di una frase, di una citazione, di un passo e riprendi il libro in mano, lo sfogli, magari alle 3 di notte. E lui prende vita, di nuovo e si rianima…
Poi c’è uno scaffale dove ripongo i libri mai finiti…e mi chiedo sempre perché.