Seduto nel suo ufficio, il commissario ripensava agli avvenimenti degli ultimi giorni. La morte della ragazza, violenta e crudele; il ritrovamento del suo corpo martoriato, sporco di sangue e di ferite, abbandonato tra le erbacce di un fosso lungo una strada secondaria; il responso del medico legale “probabile morte dovuta a ferite interne, prodotte con qualche tipo di oggetto metallico, forse un aborto clandestino, ma ti dirò con più sicurezza tra qualche giorno”.
Il tentativo di togliersi dalla mente, dagli occhi, quel corpo sporco di fango, violentato da una crudeltà non più immaginabile nel primo decennio degli anni duemila. Cose che non dovrebbero nemmeno più succedere con la legalizzazione dell’aborto e la possibilità di praticarlo in strutture pubbliche, con tutti i crismi dell’igiene e della sicurezza. Anche dell’anonimato. “Perchè?” continuava a chiedersi. Perchè una ragazza così giovane aveva deciso di abbandonarsi ad una pratica tanto cruenta e dolorosa, alle mani di un o una macellaia d’altri tempi? Per la necessità di fare tutto di nascosto, forse. Perchè nessuno sapeva che era incinta e nessuno avrebbe dovuto saperlo. Perchè…..
Perchè quella visione continuava ad angosciarlo? Almeno a questo sapeva dar risposta. Era il suo primo omicidio. Il suo primo cadavere. Nella sua poca esperienza lavorativa non si era mai occupato di casi del genere. Droga, sì, tanta, ma piccoli spacciatori, pusher. Mai giri grandi. Ora invece…. e come capo doveva prendere decisioni, indirizzare le indagini, seguirle. E concluderle, si augurò. Per sua fortuna aveva un’ottima squadra con tutta l’esperienza che a lui mancava. Si sarebbe affidato a loro, cercando di rubar ….
“No!”. Non era così che voleva costruire il suo personaggio. Il suo protagonsta non era uno che rubava le idee degli altri per farle sue. Era uno che collaborava attivamente con i suoi uomini dei quali si era conquistato la fiducia proprio per la sua umanità, decisa e sicura, ma aperta, per la sua onestà, per il suo capire le cose un attimo prima degli altri. Insomma, uno che sopperiva alla mancanza di esperienza con capacità al di fuori della norma. Era un capo che non doveva dare ordini o, meglio, che ordinava ma senza darlo a vedere. Uno che aveva individuato le persone di cui fidarsi e che era riuscito a farsi apprezzare tanto da instaurare un rapporto unico coi suoi sottoposti e non solo. Uno che…
Ma esisteva veramente qualcuno così? Ferma davanti al computer, si chiese come fossero veramente i capi, i superiori. Come si comportassero nei confronti dei loro subalterni. Gentili ma distanti? Con aria di superiorità? Amichevoli e pericolosi oppure amichevoli ed incapaci?
E poi, come parlavano? Quale era il loro linguaggio “segreto”, quello professionale, infarcito di termini specifici. E ancora, un medico legale avrebbe parlato in quei termini? E quanto tempo avrebbe impiegato a fornire i dati dell’autopsia?
Tutte cose di cui non sapeva niente. Troppo lontane dalla sua vita tranquilla. Certo! L’idea poteva essere interessante, avrebbe potuto svilupparsi bene in mano ad uno scrittore di gialli. In mano sua, poteva trasformarsi solo in una schifezza unica. Lucarelli o Camilleri avrebbe costruito una bella storia ma lei…. non è che poteva chiedere informazioni a qualcuno. Non conosceva nessuno dell’ambiente.
“Ci penserò su ancora un po’” si disse con un sospiro. Alzò gli occhi e vide la sua bimba avvicinarsi con la bambola tra le braccia e la banana in mano. Sapeva già cosa voleva. Le sorrise. Si alzò e prendendola per mano uscirono in giardino e si sedettero sotto al glicine.
E’ il momento della favola….
Allora. C’era una volta un bel ranocchio verde verde verde…. – improvvisò.
Le favole per bambini invece le venivano sempre bene.
Patrizia Valente