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“Sculacciando la cameriera” di Robert Coover

Creato il 21 gennaio 2011 da Abo

“Sculacciando la cameriera” di Robert Coover“Sculacciando la cameriera” di Robert Coover
Sculacciando la cameriera
Robert Coover, 1982
Guanda, traduzione di L. Spagnol
65 pagine, 6 euro

Due soli personaggi, il padrone e la cameriera.
Una routine che si ripete, sempre uguale a se stessa.
La cameriera entra nella stanza da letto e sveglia il padrone, che le racconta frammenti di un sogno confuso e ricorrente.
La cameriera apre le finestre, e mentre il padrone è in bagno la cameriera rifà il letto; tra le coperte trova sempre qualche brutta sorpresa: un mucchio di vermi, cocci di vetro, delle vespe morte.
Il padrone esce dal bagno, scopre una mancanza della cameriera, e la sculaccia. A sangue.

È su questo esile plot che si basa il romanzo breve di Robert Coover, scrittore a cui mi sono avvicinato dopo aver letto il suo nome associato a quelli di altri autori che apprezzo molto.
Come si può intuire si tratta di una storia morbosa, il racconto di un rapporto di dipendenza che prende le sembianze di un gioco di ruolo. È infatti solo tramite il confronto con l’altro che i personaggi sembrano determinare una propria identità, a cui si aggrappano con testardaggine. Nessuno dei due sembra intenzionato a mandare i frantumi l’equilibrio raggiunto, quasi che la fine del gioco porti con sé una terrificante spersonalizzazione.
A differenza di quanto sembrerebbe all’inizio, non si tratta però di un rapporto sadomasochistico, perché nessuno dei personaggi ricava piacere da esso.
La cameriera ha il sedere ricoperto di piaghe al punto da far fatica a muoversi, e soprattutto non vive le punizioni come eccitanti.
Il padrone invidia alla donna la sua passività, e impartisce le punizioni con malinconia.
Cosa spinge quindi la cameriera a incappare di continuo negli errori grossolani per cui verrà punita? La sua aspirazione religiosa è sincera, o si tratta solo di un aspetto del personaggio che interpreta nel gioco? Da dove viene il preciso cerimoniale ripetuto ogni giorno e attinto da alcuni manuali non meglio specificati che il padrone sostiene di aver letto?
Sono domande a cui Coover non risponde, così come non chiarisce da dove provengano gli strani oggetti ritrovati tra le coperte.
C’è qualcosa di non detto e non esplorato tra questi due personaggi, una zona grigia impossibile da penetrare che conferisce alla storia un fascino conturbante.
L’idea di partenza di Coover mi pare buona, ma non sono altrettanto convinto della sua realizzazione.
Il testo è diviso in una cinquantina di brevi capitoli scanditi da uno stile paratattico e abbelliti da alcune buone immagini (ma purtroppo rallentati da un abuso di avverbi in –mente, che pesano come macigni). Ognuno di questi capitoli è pressoché identico all’altro, e a variare sono solo alcuni particolari: il canto degli uccelli nel giardino, l’errore della cameriera, lo strumento scelto per sculacciarla.
È una struttura ripetitiva che se da un lato è funzionale alla meccanicità dei gesti dei personaggi, dall’altro diventa sfiancante se protratta per oltre 60 pagine.
Sculacciando la cameriera garantisce qualche buona suggestione, ma penso che se dallo spunto iniziale Coover avesse tratto un racconto lungo la metà o anche solo un terzo di questo, avremmo tra le mani una storia più incisiva. Così, invece, ci troviamo di fronte a un romanzo breve capace di provocare una altrettanto breve fascinazione.

Pro:
-L’alternanza del punto di vista, che per ogni capitoletto passa da un personaggio all’altro.

Contro:
- A lungo andare la monotonia ha il sopravvento.

La citazione:
Le piccole cose di ogni giorno, le sue banali mansioni, pensa mentre si prepara ai compiti mattutini, le forniranno tutto ciò di cui ha bisogno, spazio per negare se stessa, una strada per avvicinarla quotidianamente a Dio.


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